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Il rifugio
Se volessimo descrivere il cinema di François Ozon con soli tre aggettivi, potremmo provare a definirlo: sensibile, trasgressivo, ambiguo. Classe 1967 ma con già undici film all’attivo, Ozon è tra i pochissimi registi della sua generazione a essere dotato di una creatività lampante unita a una capacità di esplorazione della condizione umana; uno stile inedito e personale che mostra la realtà in tutta la sua genuina brutalità.
Ne "Il rifugio" il tema centrale è quello della gravidanza, scoperta da Mousse (Isabelle Carré) subito dopo aver perso il compagno Louis (Melvil Poupaud) per un’overdose di eroina. Anche Mousse è tossicodipendente, quindi la famiglia alto borghese del defunto ragazzo rifugge l’idea che la donna(ccia) partorisca un discendente; ma lei è decisa a tenere il bambino e si rintana in una casa sul mare. Qualche tempo dopo è raggiunta da Paul (il cantautore Louis-Ronan Choisy, all’esordio nella recitazione), fratello di Louis, alla ricerca di se stesso e desideroso di stabilire un contatto con la cognata mancata. Paul è profondamente diverso da suo fratello: non si droga, è gay, gentile, emotivo, assai bello (contrapposizione esaltata attraverso il sonoro: chitarra elettrica vs. pianoforte). Probabilmente grazie a queste caratteristiche riesce a vincere l’iniziale aggressività e diffidenza di Mousse, che dietro la scorza ruvida e robusta nasconde una grande fragilità. Tra i due s’instaura un rapporto contrastante: dolce e crudo, diretto e velato, solidale ed egoista; s’intuisce, però, che pur essendo apparentemente agli antipodi hanno bisogno l’una dell’altro. Mousse si sente inadeguata nel ruolo di madre e con il bambino tenta disperatamente di riappropriarsi dell’amore tramite appunto il suo nobile frutto; la presenza di Paul è terapeutica, poiché la scuote dal torpore dell’isolamento e le offre qualche pezzo per ricomporre il suo puzzle esistenziale.
Ozon si conferma un fantasista del cinema raccontando con tocco poetico e sguardo disincantato un’altra storia toccante sulla vita e sui sentimenti, riflettendo sulla maternità e sull’idea – mitizzata – secondo la quale la propensione a essere mamma è qualcosa di ovvio e naturale per qualsiasi donna. Come di frequente, il regista utilizza la tematica gay per sviluppare il racconto e aggiunge un altro tassello al proprio "discorso omosessuale", cifra stilistica che contraddistingue il suo lessico cinematografico.
Il cast artistico è convincente: Isabelle Carré – che ha girato le scene realmente incinta – in stato di grazia nel suo trucco pesante e tenera nelle inquadrature in stile documentaristico del pancione (affascinante la sequenza del bagno), Louis-Ronan Choisy perfetto nella sua parte da ragazzo affettuoso, mite e impacciato, Melvil Poupaud che nei suoi dieci minuti di presenza regala un’interpretazione di un realismo strabiliante.
Tuttavia, nei lavori di Ozon c’è sempre qualche vizio di forma e anche in questo caso le forzature narrative (perché Paul piomba a casa di Mousse?) e gli stereotipi (il grande desiderio di paternità dei gay) non mancano. Ciò nonostante, "Il rifugio" è un film da non perdere per tutti coloro che amano un certo cinema impegnato e vogliono entrare in contatto con l’anticonformismo e la freschezza del linguaggio di uno dei più talentuosi under 45 in circolazione.
La frase:
- "Perché sei venuta qui?"
- "Per restare in pace, è il mio rifugio".
Nicola Di Francesco
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