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Il cuore criminale delle donne
Dopo la collera coniugale di "Un bicchiere di rabbia", il regista brasiliano Aluizo Abranches ritorna alla regia con una storia di sangue e vendetta, che sembra prendere forma da un racconto popolare, narrato dai cantori che di villaggio in villaggio tramandano verità e leggende per tutto il paese.
La storia delle tre figlie di Filomena Capodocio, istigate dalla stessa madre a compiere la vendetta sugli uomini che hanno ucciso il loro padre e i fratelli, è ambientata in una parte ancora selvaggia del Brasile in cui la realtà somiglia molto al teatro del Grand Guignol, e dove il sangue scende copioso mentre la violenza si giustifica attraverso una necessità disperata e personale. Leggi d'onore perseguite anche e sopratutto dalle donne che con altrettanta ferocia e crudeltà uccidono i propri nemici, siano essi antichi amanti o amici d'infanzia, con la sola differenza di essere lacerate interiormente dal tormento per aver ucciso.
Il viaggio alla ricerca dei sicari delle tre Marie, che a tratti si riassume in un disegno su una tela grezza dai colori terrosi, illuminato da una struggente sinfonia di violini, non è altro che una personale ricerca e accettazione della parte più violenta e primitiva di sé.
Dapprima vicinissima ai visi delle protagoniste, devastati dalla sofferenza o irrigiditi nell'inevitabile e fatale desiderio di nemesi, la macchina da presa allarga in seguito il quadro a comprendere pareti dipinte simbolicamente di blu e rosso o paesaggi sabbiosi, spazzati da un vento che sembra voler strappar via ogni umanità. La scarna sceneggiatura sfugge alle regole della narrazione: si sottrae alla descrizione dei personaggi preferendo invece comporre un decalogo del dolore e della vendetta, in cui è ammissibile la rabbia ma non le lacrime, che rischiano di lavare via l'odio. Questa evidente mancanza di impianto narrativo non può chiaramente trovare un unico sostituto nelle immagini, pur bellissime e a volte di grande effetto: sebbene l'impianto scenico, spesso chiaramente ispirato al teatro, sia piuttosto evocativo e nonostante l'efferatezza del racconto, nulla sembra riuscire a rimediare alla totale mancanza di tensione, e la noia finisce per assalire lo spettatore a neanche 10 minuti dall'inizio.
Valeria Chiari
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