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Gangor
Uno degli aspetti più interessanti dell’ultimo lavoro di Italo Spinelli è dato dalle caratteristiche produttive di questo Gangor. E’ una coproduzione italo indiana con cast artistico reclutato interamente sul luogo e un film che rischia di non essere proiettato in India per la presunta "scabrosità" del tema trattato. Gangor è tratto dal racconto di Mashasweta Devi (che ha anche curato la sceneggiatura del film) "Cos’hai dietro il corsetto, che hai?", forte atto di denunzia sulla difficoltà della situazione delle donne in molte aree dell’India. Le aree in cui sono perpetrate molte violenze non sono in campagna e neppure in città. Sono in una strana via di mezzo, in cui i valori contadini, in cui la donna madre è oggetto di grande rispetto, si incontra con il degrado urbano ribaltando ogni forma di giudizio in pura brutalità. Un fotografo un giorno effettua lo scatto di una donna ripresa nell’atto di allattare. Secondo le sue intenzioni questa foto dovrebbe diventare il simbolo della femminilità da proteggere. In un secondo momento proprio quell’immagine finisce sulla prima pagina di un giornale e la donna diventa sempre più isolata e vittima di continue violenze. Più che un vero film, dalla struttura narrativa tradizionale, Gangor è una sorta di parabola sul potere dei media che si battono a difesa dei diritti fondamentali dell’uomo. La fotografia di Gangor diventa uno strumento a doppio taglio, che vittimizza la sua protagonista nel tentativo di difenderla. Vi sono dei passaggi non del tutto chiari, per esempio non è del tutto lineare la decisione del fotografo di aiutare all’improvviso Gangor in ogni maniera possibile; la sua motivazione è intuibile ma non si sviluppa in modo del tutto cristallino. Una scena in cui il protagonista fugge via in un vicolo buio inseguito (apparentemente) da un’automobile sembra alludere a una svolta estremamente potente mentre in realtà questa scena si rivela del tutto sproporzionata rispetto al fatto che vuole raccontare. Molto forte è invece il finale. Censurare il finale vorrebbe dire censurare le finalità del film.
La frase: "cos’hai dietro il corsetto?".
Mauro Corso
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