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Dracula Untold











Ricordate il prologo di “Dracula di Bram Stoker”, diretto nel 1992 dal vincitore del premio Oscar Francis Ford Coppola e che vide Gary Oldman nei panni del conte succhiaemoglobina più famoso della storia? Visualist in campo pubblicitario con alle spalle soltanto short, Gary Shore deve aver pensato bene, per il suo lungometraggio di esordio, di dilatarlo ad oltre un’ora e mezza, svelando la genesi di colui che proprio Universal pictures – produttrice del suo debutto – provvide a trasformare in re delle creature della notte cinematografiche, nel 1931, tramite il mitico “Dracula” interpretato da Bela Lugosi.
Colui che, con il volto del Luke Evans che fu Zeus in “Immortals”, è qui ancora il principe Vlad III di Valacchia, in quanto siamo nella pacifica Transilvania del 1462, dove, convinto che il mondo abbia ormai bisogno di un mostro, per affrontare la pericolosa minaccia turca decide di mettersi in viaggio verso la cima del Dente Rotto al fine di incontrare un demone incarnato da Charles Dance e stringere con lui un patto faustiano.
Patto che gli conferisce la forza di cento uomini, la fulminea velocità di una stella cadente ed il potere di schiacciare i propri nemici, ma anche un’insaziabile sete di sangue umano, alla quale deve riuscire a resistere per tre giorni se intende tornare ad essere se stesso ed evitare di ritrovarsi costretto a dimorare in eterno nell’oscurità.
E, man mano che abbiamo la Sarah Gadon di “Maps to the stars” nel ruolo della coraggiosa moglie Mirena e il Dominic Cooper di “Need for speed” in quello del malvagio sultano Mehmed Secondo, intento a strappare mille giovani dalla Valacchia per arruolarli a forza all’interno del proprio esercito, sono scontri con la spada, corpi impalati ed agili imprese proto-fumetto a dominare l’insieme, tempestato non poco di effetti digitali.
Del resto, il produttore Michael De Luca vanta nel curriculum i due “Blade”, quindi, fornito di caratteristiche molto più vicine a quelle dei gettonatissimi supereroi della celluloide d’inizio terzo millennio che ai vampiri dell’horror classico, il Vlad evansiano può essere facilmente inteso come un precursore del roccioso personaggio portato sullo schermo da Wesley Snipes, anziché del seducente individuo dai lunghi canini che diede notorietà a Christopher Lee.
Con un finale ovviamente aperto ed un buon ritmo narrativo a giovare al tutto, che, pur senza eccellere, riesce almeno a sfuggire alla mediocrità che ha caratterizzato operazioni simili quali “Van Helsing” di Stephen Sommers o “I, Frankenstein” di Stuart Beattie.

La frase:
"Il mio nome è Dracula, figlio del Diavolo".

a cura di Francesco Lomuscio

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