Dorian Gray
Pubblicato nel 1891 dall’irlandese Oscar Wilde, "Il ritratto di Dorian Gray", vera e propria celebrazione dalle reminescenze faustiane del culto della bellezza, ha finito per interessare il mondo del cinema fin dai tempi del muto, per poi essere stato oggetto di non poche trasposizioni sonore su celluloide. Infatti, oltre a quella mitica interpretata nel 1945 da Hurd Hatfield, i più attenti ricorderanno di sicuro sia "The picture of Dorian Gray - Il ritratto del male" con Joshua Duhamel, del 2004, che "Dorian" di Allan A. Goldstein, rivisitazione in chiave moderna risalente a tre anni prima.
Ora, è il Ben Barnes de "Le cronache di Narnia: Il principe Caspian" a incarnare sullo schermo il giovane e ingenuo bellissimo della Londra vittoriana che, trascinato nel vortice della vita sociale e nelle avventure più sfrenate dal carismatico Henry Wolton, con le fattezze di un tentatore e vagamente satanico Colin "Mamma mia!" Firth, finisce per accettare di sacrificare qualsiasi cosa pur di rimanere per sempre come appare nel ritratto dipintogli da Basil Hallward, interpretato dal Ben Chaplin di "The new world - Il nuovo mondo".
E sono i toni cupi della bella fotografia di Roger Pratt ("Harry Potter e il calice di fuoco") e la notevole cura scenografica sfoggiata da John Beard ("The skeleton key") a supportare il regista londinese Oliver Parker – per la terza volta alle prese con una trasposizione da Wilde, dopo "Un marito ideale" e "Il piacere di chiamarsi Ernest" – nell’accompagnare lo spettatore all’interno del trasgressivo e peccaminoso universo senza limiti di Dorian; ricordando vagamente tematiche e stile cari al cinema dello scrittore Clive Barker, per il quale, non a caso, esordì come attore in "Hellraiser" e "Cabal".
D’altra parte, senza rinunciare a momenti splatter e a un uso degli effetti digitali che, soprattutto nella parte finale, rimandano in maniera evidente ai b-movie, è proprio un’atmosfera horror quella enfatizzata nel corso dei circa 113 minuti di visione di "Dorian Gray", impreziosito dagli apprezzabili dialoghi della sceneggiatura a firma dell’esordiente Toby Finlay e penalizzato solo da qualche evitabile lungaggine.
Pur rimanendo pienamente nella media (se non leggermente al di sopra).

La frase: "Vi assicuro che il piacere è molto diverso dalla felicità".

Francesco Lomuscio

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