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Biutiful
Non fa sconti allo spettatore Biutiful, del messicano Alejandro González Iñárritu. Aspettatevi un pugno nello stomaco e una grande interpretazione, quella di Javier Bardem.
Bardem è Uxbal, impegnato in traffici poco legali, che vivacchia sfruttando come può la manodopera clandestina cinese e i venditori ambulanti senegalesi: ha due figli che sono il suo unico scopo e onere, una moglie dalla personalità bipolare, con cui porta avanti un rapporto conflittuale. Uxbal ha un suo colloquio con i morti che presto raggiungerà: ha poco tempo, due mesi di vita. Due mesi per sistemare ogni cosa, che tutto sia ‘biutiful’, bello, appunto.
L’avevamo visto accattivante conquistador in Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen, cartolina patinata e solare, qui ritroviamo Javier Bardem che percorre una Barcellona irriconoscibile, quella al di fuori dei circuiti turistici, quella sporca, tra i bidoni della spazzatura, dello sfruttamento sotterraneo dei clandestini, tra famiglie ammassate e morti. Il suo volto, così cinematografico, è ridotto a una maschera tragica che si porta scritto il suo destino di giorni contati, la sua ricerca di un padre volendolo essere in primo luogo.
Alejandro González Iñárritu sceglie la via del racconto unico: dopo gli incastri, più o meno riusciti, di più storie che scorrono parallele, di cui troviamo alla fine il comune denominatore, dopo la separazione dallo sceneggiatore Guillermo Arriaga, Iñárritu fa da sé e si focalizza su un’unica vicenda, in cui mettere dentro di tutto e di più.
Biutiful è una discesa negli inferi in cui nulla viene risparmiato allo spettatore, che viene caricato, fotogramma dopo fotogramma, di tutte le miserie umane, fisiche e psichiche. Che senso ha un’operazione simile, cosa Iñárritu voglia dirci è un mistero, che si apre a molte chiavi di lettura. Che il mondo è malato, rappresentato da un personaggio a sua volta malato? Che sia (forse) possibile una redenzione finale?
Ciò che resta è la sensazione sgradevole e irritante di un rigirare nel torbido, di un catalogo alfabetico delle disperazioni: ridondante, affollato di vicende accennate, auto compiaciuto. Alejandro González Iñárritu è maestro in questo, arrogante nella sua presunta umiltà e vicinanza ai più sfortunati. Un film che spaccherà critica e pubblico, cui diamo un suggerimento: diffidate dei venditori di sofferenze spicciole, in accumulo progressivo. Vi stanno ricattando il cuore. Tenetevi le vostre lacrime.
La frase: "Mi ha detto che dentro era come un mare di fango, che i suoi occhi erano come di gelatina e i suoi capelli bruciavano".
Donata Ferrario
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