A Serbian Film
Sposato con la bella Marija (Jelena Gavrilovic) e padre di un figlio piccolo, l’ex pornostar serbo Miloš (Srdjan Todorovic), in disagiate condizioni economiche, decide, dopo diversi ripensamenti, di prendere parte all’oscura, nuova pellicola hard del misterioso regista Vumkir (Sergej Trifunovik), spinto esclusivamente dall’ingente somma di denaro offertagli e senza avere alcuna notizia riguardante il plot.
Da questa esile ma intrigante idea parte il lungometraggio d’esordio di Srdjan Spasojevic, che, sceneggiato dallo stesso insieme al critico cinematografico Aleksandar Radivojevic, fa scattare immediatamente la molla della curiosità nella testa dello spettatore, desideroso di sapere incontro a quale destino sta andando il protagonista.
Infatti, con una trama in fin dei conti non troppo distante da quella che fu alla base di "8 mm - Omicidio a luci rosse" (1998) di Joel Schumacher, il quale vedeva Nicholas Cage nei panni di un detective impegnato ad indagare sul perverso universo degli snuff movie, non è certo un coinvolgente crescendo di tensione a mancare nel corso dei primi cinquanta minuti di visione, che il regista, supportato sia dalle convincenti prove degli attori che dalla bella fotografia di Nemanja Jovanov, confeziona con notevole capacità tecnica ed invidiabile senso del ritmo narrativo.
Minuti di visione disseminati qua e là di accenni di violenza, ma che solo in seguito al loro passaggio lasciano spazio ad una sequela d’insostenibili atrocità che, vissute da Miloš attraverso un susseguirsi di flashback, richiama vagamente i tortuosi percorsi affrontati di volta in volta dai protagonisti-vittime della serie "Saw".
Ma, pur essendo quella di una donna decapitata durante un violento atto sessuale l’immagine più "leggera" immortalata dalla camera di Spasojevic, i suoi intenti sembrano tutt’altro che quelli di sfruttare un facile pretesto per poter sfoggiare sullo schermo estremismi e spargimenti di sangue capaci di shockare perfino lo spettatore maggiormente preparato a questo tipo di fruizioni.
Certo, i massacri e i concetti che caratterizzano la parte finale di "Srpski film" (come s’intitola in patria la pellicola), sfocianti perfino nell’hard fasullo, rientrano di sicuro tra i più esagerati visti sullo schermo in oltre un secolo di storia della celluloide; però mostrati in maniera decisamente meno sadica rispetto a quanto fatto da altri addetti ai lavori (pensiamo alla già citata saga dell’enigmista Jigsaw, ma anche ai nostri nazi-movie anni Settanta e agli splatter del tedesco Andreas Schnaas) e, soprattutto, per nulla gratuiti e in grado di spingere all’emulazione.
In particolar modo, ce ne rendiamo conto quando, superata la rivelazione finale, il primo impulso è stringere e proteggere chi abbiamo accanto, consapevoli di aver appena assistito ad una efficace metafora in fotogrammi relativa al potere spesso disgustoso cui fa ricorso la società (non solo quella serba) per sfruttare (o stritolare?) a suo piacimento un nucleo importante come quello familiare.

La frase: "Le vittime sono la cosa più venduta di questo mondo".

Francesco Lomuscio

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