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Angela
Nel suo viaggio tra il "popolo" del sud, Roberta Torre compie il suo terzo passo abbandonando il musical dei due film precedenti e propendendo per un linguaggio scarno e realistico.
"Angela" è la storia di una donna (interpretata dalla brava Donatella Finocchiaro) che non ha paura a vivere in un mondo con leggi dettate da uomini ed in cui anche gli uomini dovrebbero avere paura. Ma è anche una storia sulla solitudine; una solitudine che colpisce tutti: uomini e donne intrappolati in schemi dove non ci si può fidare di nessuno, dove anche l'onore è scomparso e il perdono non si sa cosa sia.
Angela è la moglie di Saro (Mario Pupella), uomo "rispettabilissimo" che sotto l'attività di negoziante di scarpe nasconde un grande giro di droga. Tutto sembra scorrere "tranquillamente" finché un giorno da Milano ritorna un "picciotto" che...
Questa potrebbe sembrare la storia di moltissimi film sul genere poiché prende spunto da una situazione che è sempre quella, fino all'arrivo di un elemento esterno che dà fuoco alla miccia. Ed in effetti, in senso narrativo, è così. Ma non è questo che importa, perché tutto il racconto è vissuto sul filo emozionale.
Per quanto la storia sia scarna ed elementare, l'importante è notare come questa sia un percorso, quello di Angela, che porta a vivere "dentro". Nel film è come se tutti iniziassero a guardare da fuori. Angela ad un certo punto spia da dietro delle scatole di scarpe così come per tutto la pellicola la polizia spia le telefonate che arrivano o partono dal negozio. Saro ad un certo punto riesce a vedere, per un istante, il dolore che c'è intorno a lui, ma è l'unico momento in cui è cieco (per delle gocce di atropina che gli sono state inoculate ad una visita medica). È come se si arrivasse alla sensazione delle cose uscendone e rientrandoci un pò per volta, piano piano.
L'uso della macchina a mano qui sembra giustificato dalla drammaticità del racconto e la fotografia essenziale rende molto quell'atmosfera di cinema-verità (d'altra parte questa potrebbe essere la storia di molte donne che hanno scelto di vivere in quel mondo).
Comunque la sensazione forte che rimane è quella che in un mondo (quello della malavita organizzata) dove ogni cosa deve essere regolata da dei codici, non si riesce mai a districarsi tra le emozioni.
Per vedere tutto questo non dobbiamo neanche arrivare alla fine, è già nella prima inquadratura quando Angela sta cantando "Tu sì 'na cosa grande" di Domenico Modugno (uno che di emozioni ha vissuto) che si può riassumere l'impossibilità di "provare" qualcosa in maniera normale: "Dillo ca me vuo' bene comm'io voglio bene a te". L'impossibilità di sentirsi contraccambiati. L'impossibilità di poter dire. E forse, innanzitutto, la coscienza di essere soli.
Renato Massaccesi
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