Ward 54
Dopo aver goduto di “The hurt locker” (2008), pellicola di Kathryn Bigelow premiata con sei Oscar, incuriosisce non poco vedere un’altra esponente del sesso femminile cimentarsi dietro la camera con un prodotto riguardante la guerra in Iraq.
Ma, mentre il film della regista di “Point break” (1991) puntava sulla finzione, con “Ward 54” – il cui titolo fa riferimento al braccio psichiatrico del “Walter Reed”, l’ospedale dei veterani di Washington D.C. – la giornalista Monica Maggioni sforna il suo primo documentario partendo da un dato decisamente allarmante: dal 2001 il numero dei suicidi tra i militari è cresciuto in modo esponenziale, tanto che nel 2009 ha finito per superare quello dei caduti in guerra. Infatti, attraverso le interviste ad alcuni americani reduci dall’Iraq e ai loro familiari, il suo tentativo è quello di raccontare la difficoltà di reintegrarsi nella società e il dramma di ricominciare dopo aver preso parte all’incubo della guerra.
Ed è soprattutto il soldato Kristofer Goldsmith, scopertosi incapace di confrontarsi con quello che ha vissuto in Iraq una volta tornato in patria ed ammalatosi quindi di PTSD (disturbo post-traumatico da stress), ad esporci il progressivo cambiamento da ragazzo desideroso di servire la nazione in seguito ai tragici fatti dell’11 settembre 2001 a uomo deciso a combattere una battaglia contro l'Esercito, il quale ha rifiutato di congedarlo “con onore” a causa del suo tentativo di suicidio.
Un lucido racconto-denuncia nei confronti di un'America pronta a mandare i soldati in guerra ma non disposta a fare i conti con il trauma di chi torna, nel quale, oltre a quelle di psichiatri e psicologi, trovano spazio anche le parole di Kevin Lucey, addolorato padre del marine Jeffrey, privatosi della vita.
E’ proprio la sua straziante testimonianza a rappresentare il momento più coinvolgente di un’interessante operazione che, volta a rivelare la triste realtà vissuta nel XXI secolo da molte famiglie americane, presenta un look generale che la rende sicuramente più vicina ai reportage televisivi che alle produzioni destinate al grande schermo. Lasciandoci in ogni caso e giustamente concludere proprio con la frase posta al culmine dei veloci 63 minuti di visione: “Comunque Kris, grazie per averci raccontato la storia”.

La frase: "Voglio che nessuno debba più vivere quello che ho vissuto io".

Francesco Lomuscio

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