W.
“W.” già solo semplicemente dal titolo, una comune lettera dell’alfabeto, sola con quel punto che ne delimita i ristretti confini, può dedursi l’essenza dell’ultimo film di Oliver Stone.
G.W.Bush è raccontato dal regista americano come una persona sola, fatalmente e troppo facilmente vittima di un complesso edipico scaturito dall’ingombrante figura del padre, afflitto dalla preferenza che i genitori palesemente accordano per il fratello Jeb, incapace di progettare sensatamente il proprio futuro fino a quando, raggiunti i quarant’anni, non viene colto da un’illuminazione, anche mistica, che lo vuole prima governatore del Texas e poi a capo della maggiore potenza mondiale. Questo è George W. Bush, secondo Stone, un uomo a metà tra un deficiente ed un angelo sterminatore che solo un popolo come quello americano poteva condurre, democraticamente, al potere.

Il taglio dato al film dal regista americano, che già aveva affrontato altre due opere su presidenti degli Stati Uniti ("JFK" e "Nixon") è improntato con decisione alla descrizione del lato umano dell’uomo Bush, relegando il dato politico ad un piano secondario, anche se va detto che i momenti più efficaci sono invece proprio quelli più squisitamente politici. Le scene nella quale vengono rivelate le vere ragioni della guerra in Iraq sono infatti senza dubbio quelle riuscite meglio, nelle quali Stone può mettere in bella mostra tutte le sue qualità di abile polemista. A caratterizzare il protagonista Bush ci pensa invece l’attore Josh Brolin che disegna il suo personaggio enfatizzandone alcuni aspetti macchiettistici come la camminata alla John Wayne o come l’espressione di eterno bambino che assume anche nei momenti di più grave crisi. La sceneggiatura che divide in tre parti la storia che si racconta (il Bush giovane scavezzacollo, l’ascesa politica, i suoi atti da Presidente) è ravvivata da un montaggio che alterna le tre fasi e la narrazione, pur se infarcita da molti dialoghi, è scorrevole grazie all’innata dote del regista di rendere tutte le sequenze sempre dinamiche e mai uguali a se stesse.

"W." è certamente un film valido, che interesserà a chi piace un cinema che informa senza però abdicare alla "presunzione" di esprimere anche una propria opinione. Operazione che Stone puntualmente ci propone e nella quale, a differenza ad esempio di quanto succede in "Fahrenheit 9/11" il docufilm di Michael Moore dove la cronaca ci restituisce a tutti gli effetti la figura di un vero e proprio babbeo, sembra adottare uno sguardo quasi indulgente nel raccontarci la mediocrità di un uomo che ha governato il mondo per otto anni.

La frase: "Non uscirò mai fuori dall’ombra di mio padre".

Daniele Sesti

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