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Transformers
"In principio era il cubo": mai incipit cinematografico fu più involontariamente esilarante.
Il basso inconfondibile di Alessandro Rossi, qui doppiatore dell'Autobot Optimus Prime, ci guida suo malgrado tra asteroidi e collisioni nello spazio siderale solcato da giganteschi pupazzi di latta.
Preparatevi a non guardare mai più un Suv con gli stessi occhi: i Transformers sono tornati.
Per chi ne fosse ancora beatamente ignaro, riassumiamo: sul pianeta Cybertron è sorta un'epica battaglia tra entità aliene, gli Autobots - protettivi, buoni - e i Decepticons - violenti, cattivi. L'oggetto del contendere, un mistico cubo dal quale dette creature metalliche traggono forza vitale, finisce però sulla Terra a causa di intricate vicissitudini guerraiole: per questo l'intera truppa decide su due piedi di trasferire il fronte in casa nostra, solidarizzando o meno coi locali. Sam Witwicky (Shia LaBeouf) è l'adolescente in tempesta ormonale che farà sorridere la platea durante la prima parte dello spettacolo, fraternizzando con l'Autobot Bumblebee (trasformatosi nella sua Kamaro giallo canarino) e, già che c'è, contribuendo a salvare il mondo. Dal 1984 ad oggi, i cromatissimi paladini interstellari nati dall'intuizione di mastri giocattolai giapponesi (ovvio) e resi oro puro dal colosso americano Hasbro (altrettanto ovvio) hanno divertito stuoli di ragazzini. Ed è un trio di tutto rispetto quello cimentatosi nell'impresa di rispolverarne il fascino in sala: Steven Spielberg produce, Michael Bay dirige e la Industrial Light & Magic di George Lucas "tridimensiona" un film che mantiene le botte da orbi promesse e, almeno inizialmente, distrae.
Ma la vocazione commerciale di questi eroi-giocattolo è evidente nell'opera di quello che qualcuno ha già definito Michael E-bay: se l'ineluttabile lancio di gadgets connessi alla pellicola non può stupire, infastidisce l'esplicito product placement direttamente sullo schermo, dove marchi e loghi si susseguono senza sosta. Dopotutto è proprio nel campo pubblicitario che il regista di "Bad Boys", "Armageddon" e "Pearl Harbor" nasce e cresce: ed è alla pubblicità in grande stile che evidentemente torna con questo trionfale spot di 135 minuti che diverte finché non decide di prendersi sul serio. La virata in senso esistenzial-patriottico che caratterizza la seconda parte del film, con robottoni logorroici che menano le mani dispensando pillole filosofiche ("La libertà è un diritto di tutti gli esseri senzienti"), delude chi fosse rimasto piacevolmente colpito dall'autoironia iniziale.
Ma, parola di comparsa che assiste all'atterraggio alieno: "È più fico di Armageddon!".
Tanto basta?
La frase:
- "Genitori... sono fastidiosi, posso eliminarli?"
- "Noi non eliminiamo umani!"
- "Chiedevo soltanto... era un'opzione."
Domitilla Pirro
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