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31 Agosto 2006 - Intervista
"Sang sattawat (Syndromes And A Century)"
Intervista esclusiva al regista Apichatpong Weerasethakul.
di Mauro Corso
Il regista tailandese Apichatpong Weerasethakul ci riceve nella splendida cornice della terrazza dell'Hotel Excelsior. Serafico e sereno sembra emanare un aura di pace e di serenità, nonché di incrollabile ottimismo nei confronti della vita.
Ho letto che il film è basato sulle sue memorie d'infanzia è così?
Apichatpong Weerasethakul: Sì l'ispirazione proviene per l'appunto dai miei ricordi giovanili.
E come sono confluite le sue memorie all'interno della sceneggiatura?
Apichatpong Weerasethakul: Credo dipenda molto da come si guardi alle memorie, perché molto spesso queste non sono "vere". Dipendono molto dalla rivalutazione di quello che è accaduto spesso, come nel mio caso, filtrato dai racconti dei miei genitori. Così è un po' un miscuglio, di realtà e finzione. Non è davvero un racconto biografico.
Nel film sono rappresentati due aspetti diversi del suo paese.
Apichatpong Weerasethakul: è esatto. Io sono cresciuto in una piccola cittadina di campagna del mio paese, e bisogna dire che la vita economica, politica culturale sono concentrate nella capitale, Bangkok. Volevo raccontare entrambe le facce, la parte rurale e la parte cittadina, senza dare giudizi su quale sia più autentica o "migliore", sono semplicemente diverse.
Nel film sono rappresentati diversi monaci buddisti, spesso in modo molto divertito, qual'è l'atteggiamento dei suoi compatrioti nei confronti della religione?
Apichatpong Weerasethakul: C'è un crescente interesse tra i giovani riguardo alla religione, e anche io negli anni passati ho subito una crescente fascinazione nei confronti del buddismo. Adesso i libri religiosi spopolano in Tailandia. Nella nostra società ci sono molti cambiamenti, c'è molta pressione, ed è normale cercare le risposte ad esigenze interiori nella spiritualità. Il buddismo sta diventando molto popolare, ma certe cose non si possono ancora mostrare in un film è tabù. Ad esempio l'idea di vedere in una pellicola un monaco che suona la chitarra è semplicemente inaccettabile. Potrebbe ferire la suscettibilità degli spettatori, perché secondo la regola i monaci non possono suonare, anche se poi magari li puoi vedere per la strada con uno strumento in mano.
Eppure nel film i monaci sono mostrati spesso con una piccola nota ironica nelle loro attività quotidiane.
Apichatpong Weerasethakul: Non credo che sia una questione di ironia. Credo di mostrare la loro felicità. Nelle piccole attività quotidiane si può trovare del divertimento o un'occasione per rilassarsi. È bello trovare piacere non nella risata sguaiata ma nella gioia di accostarsi alle piccole cose.
A quali progetti sta lavorando in questo momento?
Apichatpong Weerasethakul: sto lavorando a un romanzo, che credo sarà in parte autobiografico. Poi a Liverpool ho preparato un allestimento di fantascienza, perché è un genere che amo molto. È una nave spaziale ed uno dei monaci che vediamo nel film interpreta l'astronauta. Infine sto preparando un film libero da lingue e nazionalità, un film sugli uomini primitivi, girato in Canada, con finanziamenti canadesi.
C'è qualcosa che vuole dire ai lettori di Filmup?
Apichatpong Weerasethakul: sì... comprate i miei Dvd!!
Mi sembra un appello più che appropriato...
Apichatpong Weerasethakul: eh sì... (ride)
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