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Sexy Shop











La voce narrante del protagonista Luca, con le fattezze del cantautore Andrea Chimenti, ci mette immediatamente al corrente del fatto che lui, ora sulla cinquantina, era uno di quelli che volevano conquistare il mondo, ma che poi, scontratosi con la cocente delusione di non essere riuscito a sfondare nel mondo della musica, si è ritrovato a trascorrere le giornate dentro un sexy shop avuto in gestione dall’amico Uberto, vecchio compagno di liceo cui concede anima e corpo il televisivo Uberto Kovacevich.
Quindi, mentre apprendiamo che da pochi giorni la sua storia d’amore con Anna alias Cindy Cattaruzza è miseramente naufragata, è proprio la routine all’interno delle quattro mura pullulanti di video porno e particolarissimi dildo che viene messa in scena nei circa novantaquattro minuti di visione da Fernando Parachini e Maria Erica Pacileo, entrambi provenienti dal teatro e qui alla loro prima regia per il grande schermo.
Routine destinata, in realtà, a rivelarsi tutt’altro che tale, in quanto, man mano che seguiamo anche il rapporto che lega Luca all’altro amico di scuola Giorgio, ovvero Vincenzo Marega, ormai grigio impiegato statale sempre pronto a sommergerlo con tutti i suoi problemi, il negozio non manca di essere frequentato di volta in volta da bizzarri personaggi caratterizzati da altrettanto bizzarre richieste in fatto di sesso e perversioni assortite.
Bizzarri personaggi che, assurdamente, possiedono i volti di nomi noti della canzone popolare italiana degli anni Ottanta e Novanta, da Ivan Cattaneo a Garbo, passando per Gazebo, Jonson Righeira e Sir Oliver Skardy.
Ma, tra concorsi per vincere una giornata da trascorrere in compagnia di una pornostar e l’entrata in scena di un trio di rapinatori interpretati dai Tre allegri ragazzi morti, l’unica cosa che può spingere lo spettatore a divertirsi è proprio il tentativo di riconoscere queste vecchie glorie delle note incastrate nelle varie situazioni.
Perché l’inesperienza dei due autori nell’utilizzo della macchina cinematografica non solo si fa presto sentire a causa di una forte teatralità emanata dall’insieme, ma finisce anche per ridurre il tutto ad una tanto fracassona quanto soporifera accozzaglia di siparietti decisamente incapaci di strappare risate... per non parlare dell’inutile tentativo di introdurre malinconiche parentesi all’insegna di una nostalgia che non riesce ad essere trasmessa in alcun modo.

La frase:
"Chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovati in un sexy shop".

a cura di Francesco Lomuscio

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