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Secondo tempo
E’ sicuramente quello di Beppe Convertini – protagonista tra il 2000 e il 2003 della soap "Vivere" – il volto più noto del lungometraggio d’esordio di Fabio Bastianello, che, un po' come accaduto in "The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair" (1999) e il più recente "Cloverfield" (2008), sfrutta una macchina da presa impazzita e raramente ferma al fine di fornire un’esperienza visiva del tutto vissuta in soggettiva.
Per la precisione, 105 minuti di piano sequenza che, anziché tirare in ballo mostri giganti o entità soprannaturali, come succedeva nei due citati titoli, portano l’obiettivo della camera all’interno del più realistico stadio Olimpico di Torino, con l’intenzione di analizzare la psicologia della curva, la sua logica sociale e gerarchica e, soprattutto, i mille volti della violenza che la popola.
Quindi, attraverso gli occhi di un poliziotto infiltrato dotato di telecamera nascosta per svolgere un’indagine a carico di un gruppo di tifosi, il protagonista si fa spettatore di un match tra le due squadre fittizie dei blu e i granata, composte da giocatori professionisti, mentre circa 100 veri ultras affiancano il cast di 30 elementi, dal cabarettista Bruce Ketta all’ex vj di All Music Yan Agusto, passando per la showgirl Lisa Dalla Via.
Senza contare il cantante Davide De Marinis, che è anche autore della colonna sonora, volta a commentare, quando necessario, le dinamiche che animano la curva, in questo caso gettata nel caos, come il titolo lascia intuire, a causa di un errore arbitrale allo scadere del secondo tempo.
Tra linguaggio scurrile e brutte facce, infatti, a mancare non sono certo scontri corpo a corpo con le forze dell’ordine, mentre il direttore della fotografia Luca "Occhi di cristallo" Coassin, sfruttando la camera digitale Red one ad alta definizione, in grado di rendere la qualità video della pellicola, immortala a dovere la crudezza generale celata (???) dietro lo sport che, più di ogni altro, coinvolge ogni domenica (e non solo) milioni e milioni di italiani.
Per un prodotto sicuramente inusuale e più vicino all’esperimento documentaristico che al film vero e proprio, ma che testimonia la sua efficacia nella capacità di far uscire stordito lo spettatore dalla sala, come se, appunto, avesse preso direttamente parte alla tragica situazione raccontata.
La frase: "Non può essere uno sbirro, è troppo intelligente per essere uno sbirro".
Francesco Lomuscio
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