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John Rambo
L’ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan lo scelse come simbolo, tanto che venne in seguito promosso ad eterno eroe americano.
E’ John Rambo, il guerriero ferito ma letale che si scaglia contro l’oppressione e l’ingiustizia, l’emblema del soldato forte e vulnerabile, il reduce dal Vietnam che, insieme al pugile Rocky Balboa, contribuì in maniera fondamentale ad alimentare il successo dell’attore e regista Sylvester Stallone, il quale lo interpretò per ben tre volte, sotto la regia di Ted Kotcheff (“Rambo”, 1982), George Pan Cosmatos (“Rambo 2-La vendetta”, 1985) e Peter MacDonald (“Rambo 3”, 1988).
Lo stesso Sylvester Stallone che ora, complice l’epoca del restyling delle icone di celluloide, si occupa personalmente di riportarlo sullo schermo, ponendosi sia davanti che dietro la macchina da presa, in una quarta avventura ambientata nella zona del fiume Salween, al confine tra la Tailandia e la Birmania, dove, a poca distanza dal conflitto tra i birmani e i Karen, l’ex guerrigliero conduce una vita solitaria lavorando su un battello lontano dai combattimenti.
Sempre più silenzioso e riflessivo, almeno fino al momento in cui si trova costretto ad affiancare un gruppo di mercenari, incaricati di trarre in salvo dei missionari finiti prigionieri in un campo militare birmano.
Momento che, in realtà, sia il fan che lo spettatore ordinario attendono più di ogni altra cosa, al fine di vedere di nuovo in azione uno dei beniamini cinematografici che hanno accompagnato la crescita di tanti trentenni d’inizio millennio, il quale non solo ha fatto del machismo e della fisicità le sue principali armi, ma ha anche finito per incarnare, più o meno involontariamente, i diversi andamenti politico-bellici degli Anni Ottanta.
Anni propinatori di tanti discutibili war-movie a basso costo, d’ispirazione palesemente rambiana (si pensi ai film di Ciro H. Santiago, David A. Prior e il nostro Bruno Mattei), di cui sembra quasi di rivedere, in maniera nostalgica, il lato exploitation filtrato attraverso uno script – per mano dello stesso Stallone in coppia con Art Monterastelli – abilmente costruito sulla tensione e su spettacolari sequenze di scontro a fuoco magistralmente dirette, tra crudi massacri d’innocenti ed abbondanti dosi di riuscitissimi effetti splatter.
Per una violenza che, nonostante le esagerazioni, non risulta mai sfruttata in maniera gratuita, permettendo al nuovo John Rambo di apparire più feroce, più sanguinolento e, proprio per questo, più realisticamente vicino alla traballante situazione a stelle e strisce (e non solo) post-11 settembre, pur continuando a mantenere fedelmente gli inconfondibili ed incancellabili connotati del succitato eroe reaganiano; per intenderci, quello che non esita a sfornare memorabili frasi ad effetto del calibro di: “Quando sei costretto, uccidere è facile come respirare”.
La frase:
- "Vivere per niente o morire per qualcosa, scegliete voi"
- "Tu che cosa scegli?"
- "Muoviamoci"
Francesco Lomuscio
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