Prey (La caccia é aperta)
E' proprio uno strano regista questo Darrell Roodt, sudafricano classe 1963: in un solo anno, il 2004, ti propone prima l'inguardabile "Van Helsing-Dracula's revenge" (2004), con il succhiasangue più famoso dell'universo catapultato nello spazio, poi "Yesterday" (2004), vicenda drammatica che ottiene perfino una candidatura all'Oscar nella categoria relativa al miglior film straniero.
Ora si presenta con un eco-vengeance (termine usato per definire i film riguardanti gli animali assassini) che si riallaccia al poco sfruttato filone dei leoni sbrana-uomini, il quale, al di là di "Spiriti nelle tenebre" (1996) di Stephen Hopkins, si costituisce di un ristretto numero di pellicole decisamente sconosciute dalle nostre parti, da "Curse of Simba" (1965) di Lindsay Shonteff a "Savage harvest" (1981) di Robert E. Collins.
E "Prey-La caccia è aperta", che le locandine vogliono ispirato ad una storia vera, sembra essere quasi un rifacimento di quest'ultimo, partendo da una situazione che, in un certo senso, riporta alla memoria una delle shockanti sequenze del famigerato mondo-movie "Ultime grida dalla savana" (1974), diretto da Antonio Climati e Mario Morra.
Abbiamo infatti Amy (Bridget Moynahan), nuova moglie di Tom Newman (Peter Weller), che, in vacanza in Sudafrica con il compagno ed i due figli di lui, la quattordicenne Jessica (Carly Schroeder) ed il piccolo David (Conner Dowds), si avventura insieme a loro in un safari nella fitta vegetazione, mentre l'uomo è impegnato altrove per motivi di lavoro.
Improvvisamente, però, si ritrovano circondati da leoni, i quali, dopo aver sbranano Brian (Marius Roberts), la guida che li aveva accompagnati, mettono in atto uno stato d'assedio che farebbe invidia al Cujo kinghiano, trasportando la dimensione narrativa in una sorta di "Open water" (2003) su terraferma, con i feroci felini al posto degli squali.
Tra telefoni cellulari privi di campo ed il veicolo zebrato con i tre a bordo che, al centro delle immense distese d'erba soleggiata, non assume altro che le fattezze di un minuscolo oggetto, Roodt enfatizza quindi con realismo un efficace e soffocante senso d'isolamento, cercando di sviluppare, contemporaneamente, la tematica dell'unione familiare, tanto cara al referente indiretto (???) Steven Spielberg.
E, se al fine di generare tensione sfrutta abilmente minacciose soggettive accompagnate da altrettanto minacciosi ruggiti, non risparmia cruenza e notevoli spargimenti di sangue nei momenti in cui deve terrorizzare lo spettatore, opportunamente spaventato anche dall'immancabile alternanza dei piani sonori.
Per un'avventura a tinte horror che, senza spingere a gridare al capolavoro, risulta avvincente quanto basta e confezionata con professionalità, grazie anche ad un buon ritmo garantito da una evidente conoscenza dei meccanismi dell'action-movie, con ralenti mai usati a sproposito.

La frase:
-"Un leone attacca raramente l'uomo, cioè hanno più paura loro di noi che noi di loro, non è vero?"
- "Stronzate, un leone mangia qualsiasi cosa".

Francesco Lomuscio

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