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Piccoli brividi











Ogni storia raccontata può essere divisa in tre parti: l’inizio, il cuore e il colpo di scena.
Quindi, senza svelare alcun colpo di scena, partiamo dall’inizio della prima trasposizione per il grande schermo della saga letteraria “Goosebumps”, introdotta nel 1992 e che, conosciuta in Italia come “Piccoli brividi”, ha permesso alla casa editrice Scholastic di vendere oltre quattrocento milioni di volumi.
Trasposizione in tre dimensioni e in cui l’ottimo Jack Black veste proprio i panni del suo autore R. L. Stine, padre della bella Hannah alias Odeya Rush con cui stringe amicizia il teenager Zach Cooper, nuovo vicino di casa interpretato dal Dylan Minnette di “Prisoners”, appena trasferitosi da New York in una piccola cittadina di provincia.
Cittadina in cui fa anche conoscenza con l’imbranato Champ interpretato dal Ryan Lee di “Super 8”; prima ancora di avvertire strani fatti che accadono in casa dello scrittore e di scoprire che le creature che lo hanno reso celebre sono effettivamente reali e intrappolate nei libri per proteggere i propri lettori.
Almeno fino al giorno in cui vengono accidentalmente liberate, offrendo al cineasta Rob Letterman – al quale si devono soprattutto lungometraggi d’animazione del calibro di “Shark tale” e “Mostri contro alieni” – il pretesto per poter dare il via ad una scatenata notte tempestata di pericolosi esseri della fantasia che rischiano di mettere in serio pericolo la località.
Scatenata notte in cui, a cominciare da un pelosissimo Yeti affrontato su un campo da hockey su ghiaccio, Zach e i suoi nuovi amici intraprendono una vera e propria corsa contro il tempo finalizzata ad evitare il peggio; man mano che fanno la loro entrata in scena, tra gli altri, lupo mannaro all’interno di un supermercato, il pupazzo ventriloquo Slappy, extraterrestri dotati di armi congelanti, la ragazza con la maschera dannata e una combriccola di dispettosissimi gnomi.
Dispettosissimi gnomi le cui imprese richiamano in un certo senso alla memoria quelle dei soldati giocattolo visti in “Small soldiers” di Joe Dante; anche perché è l’intero insieme a rivelare un sapore generale tutt’altro che distante da quello che caratterizza diversi lavori del lodevole regista di “Gremlins” e “The hole”.
Sebbene la dinamica generale dell’operazione in questione non possa fare a meno di richiamare alla memoria la frenetica fanta-avventura inscenata in “Jumanji” di Joe Johnston; man mano che all’appello non mancano neppure un ragazzo invisibile, una mummia e i cari vecchi morti viventi.
E, sorvolando su un 3D abbastanza irrilevante, ciò che prende progressivamente forma è un tanto movimentato quanto divertente spettacolo che, ovviamente infarcito dell’ironia per ragazzi che caratterizza i testi da cui il tutto prende le mosse, manifesta gli affascinanti connotati di quei film horror rivolti al pubblico adolescenziale – oltre che indispensabilmente infarciti di morale – concepiti negli anni Ottanta guardando in maniera evidente, però, alla cinematografia dello stesso genere risalente a tre decenni addietro.

La frase:
"Questi non sono libri per ragazzi, i libri per ragazzi ti aiutano a dormire, questi non ti fanno chiudere occhio".

a cura di Francesco Lomuscio

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