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Sorelle mai

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Bobbio

(5/10) Voto 5di 10

sono bobbiese, conosco Marco e la sua famiglia da sempre. Bellissimo film che, vivendo lontano, mi ha riportato sulle rive del fiume che amo più di ogni altro mare al mondo... Grazie...



Manuela, 36 anni, Bobbio-Perugia (Pg).




viva bobbio

(7/10) Voto 7di 10

Siamo agli ultimi scampoli invernali e in un mare di commedie italiane discutibili o accettabili, emerge ancora qualche opera di sicuro interesse. Una di queste è Sorelle Mai, di Bellocchio, autore che sin dagli esordi (I pugni in tasca 1965) ho trovato stimolante e in continua crescita per film “sentiti” prima che pensati, con una vena tra il realistico e il poetico a volte inafferrabile, a volte affilata come un coltello. Quest’ultimo lavoro ci conduce in una atmosfera da laboratorio (è infatti anche frutto dei corsi di cinematografia da lui organizzati a Bobbio) e ci riporta alla famiglia, alla sua radice, al fiume Trebbia, presenza simbolica e riunificante del gruppo. Il racconto di questo film “per caso”, come lo definisce lo stesso regista, cucito insieme anno per anno dal 1999 al 2002 poi di seguito dal 2005 al 2008, senza l’angoscia di una scadenza, senza copione ma in farsi dietro la macchina da presa, senza produttore in vista, con pochi attori professionisti, nasce quindi strutturalmente frammentario, un po’ scucito, con salti che sembrano logici o di stile. Invece io penso che alla fine la bravura di Bellocchio ha saputo realizzare un qualcosa di compatto che s’offre alla nostra comprensione e condivisione. Il nucleo aggregante di queste membra sparse è la difficoltà e insieme la necessità della relazione familiare e il modo diverso tra generazioni di vivere la culla delle origini. Essa può stare troppo stretta, fatta per essere lasciata o può essere il luogo dove si ritorna se i nostri smarrimenti adolescenziali durano troppo a lungo, forse tutta una vita. E ancora una casa, un fiume, la natura possono restare fermi e reiterati per tutta l’esistenza di chi rimane compreso in essi; infine possono diventar il rifugio caldo dove l’infanzia dimentica anche la scarsa presenza di genitori, sostituiti dagli anziani, dagli zii, dai paesani e sperimenta quindi lì la sua crescita. Il titolo del film deriva dal cognome delle due sorelle del regista che sono le vestali delle radici. Oltre a loro della famiglia Bellocchio troviamo come interpreti il figlio dell’autore Giorgio e la piccola Elena che all’ombra del giardino delle zie vive da piccolissima e poi sperimenta l’adolescenza. La casa de I pugni in tasca non è qui soltanto il posto da fuggire e contro cui ribellarsi; rimane l’esigenza della disobbedienza e della ricerca della propria libertà sofferta e difficile, ma spunta anche la riconciliazione. E’ tutto un andare e un tornare, vedi i personaggi di Giorgio e Sara, fratelli inquieti ma infine solidali. Non manca il ritrovarsi nel melodramma verdiano che punteggia molti episodi ed è sottinteso all’epilogo dell’amministratore amico, Gianni Schicchi. Tocca a lui, indossando il vecchio frac di Modugno, dare l’addio ai ricordi del passato, lasciandosi enfaticamente trasportare dall’acqua del fiume. Due parole infine sul linguaggio dell’opera con qualche eccesso di ombra e luci all’inizio e alla fine, ma sostanzialmente poetico.



olgadicom, 65 anni, perugia (PG).





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