Lino Settembre (Fabrizio Bentivoglio) e sua moglie Chicca (Francesca Neri), una coppia borghese di mezza età, vivono nella piena serenità a Roma, due persone soddisfatte dal proprio lavoro, Lui affermato giornalista sportivo al Messaggero, e Lei insegnante universitaria di filologia medioevale. La vita biologica non ha loro dato la possibilità di avere dei figli, ma, come spesso accade, gli ha regalato una condizione che riesce a dare ancor più compattezza alla loro convivenza.
A sconvolgere la vita dei due coniugi, è l’inaspettato malessere di Lino, che accusa buchi di memoria, condizione imperdonabile per un giornalista che partecipa anche a dirette televisive.
Le preoccupazioni di Chicca, che sia qualcosa di più grave che semplici episodi dovuti allo stress, una patologia, trovano conferma, dopo aver sottoposto con uno stratagemma suo marito ad una visita medica specialistica.
Lo stato degenerativo di Lino arriva ad intaccare la sua quotidianità, una condizione difficile da accettare, anche per Chicca che non gradisce l’idea di allontanarsi dal marito. Lentamente ma inesorabile arriva la regressione mentale di Lino che lo riporterà verso la sua adolescenza. L’infanzia come unica memoria che rimane salda nella mente, piedistallo indistruttibile che sorregge un castello di sabbia che si sgretola e cede lentamente al vento cattivo dell’inverno, è un segreto della vita che affascina e fa riflettere.
Ma il film, di P. Avati, non riesce ad avere la stessa incidenza sentimentale della storia, che come in ogni film si raccoglie alla fine, quando le luci della sala si accendono inesorabili e fanno svanire le atmosfere respirate durante la proiezione, lo stesso effetto lo si avverte anticipatamente, già quando il film si accinge ad arrivare verso il finale. Se pur con un inizio impeccabile, che da corpo a questa immensa storia d’amore, l’interpretazione di Francesca Neri, ben diretta per tutto il film, si fredda nel ruolo, come anche la sceneggiatura che strozza il finale, a volte sembra avere dei buchi emotivi, tra i tanti personaggi della famiglia alto borghese di Chiccha, arrivando a dare un cinismo più indotto dalle scelte di partitura, che dal ruolo interpretativo che si vuol descrivere.
Ma la poesia di P. Avati arriva, le immagini dell’infanzia Lino sono da libro Cuore.
Divisionismo cinematografico, per le scene di Lino bambino, tra i campi e le case rurali della provincia emiliana, aiutate dalle musiche strazianti e da una fotografia. Nell’insieme sono poesia di immagini del ricordo, il tema della nostalgia di Pupi Avati è da sempre il suo stile più naturale nel descrivere l’onestà e la semplicità dei sentimenti di provincia, più difficile riportarli nei personaggi delle grandi città, dove l’arredo urbano non aiuta a scolpire le stesse emozioni.
Una sconfinata giovinezza è il giusto titolo per questo film, uno sconfinamento dovuto alla malattia, ma un’occasione per rivivere e richiudere il cerchio della propria esistenza.