Concordo con la genialità del film, che D. Sesti (e non solo lui) sembra non aver colto affatto. Forse non è facile vedere come attraverso una semplice storia il regista ci comunica con forza straordinaria la situazione di una società (solo quella messicana?)che, in mano a un 5% di ricchi e passivizzata dai poteri militare e religioso, fabbrica schizoidi anaffettivi (come le due donne, pur di classe sociale diversa)a loro volta fabbricanti di uomini come Marcos, il quale infatti impazzisce e diventa assassino "per amore". Le due fellatio, pur diverse, rappresentano ironicamente questo "amore" che sarebbe "desiderio" ma che romanticamente si confonde con la morte.
La netta impressione che si ha dopo aver visto questo lavoro (il secondo di Carlos Reygadas, dopo Japòn) è che il regista abbia avuto il desiderio di comunicare qualcosa di veramente grandioso sull’esistenza e sulla tragedia umana fallendo tuttavia in questa sua notevole missione. Alla fine quello che resta della pellicola è un abile ed originalissimo uso della camera, una tecnica sottilmente introspettiva nella ricorrente scomposizione delle emozioni dei personaggi, il travaso nei corpi penzolanti di una ideologica e quasi inesorabile accettazione di una realtà infernale che fa il verso all’esistenzialismo cupo alla Camus sull’assurdità dell’esistere. La trama è talmente asciutta che tutto si traduce nella pura sublimazione di un messaggio di assoluta ineluttabilità di fronte al vanaglorioso paradosso della vita. Se tale sublimazione sia poi riuscita o meno questa è ben altra considerazione. La grandezza di Reygadas, se di tanto in tanto essa riaffiora, è nei tagli profondi delle inquadrature, in quegli spazi vuoti ed in quei silenzi che si riempiono da soli grazie all’intelligenza ed al sentire dello spettatore. Ma sono impressioni rare e spesso fugaci. Il risultato finale è un film che resta come appeso a mezza altezza fra il capolavoro ed il flop, fra l’audace enunciazione di una crisi mistica e la debole stesura di un resoconto di pura cronaca quotidiana. Sopra ogni cosa sta l’allegoria di un Messico arcano ed incomprensibile. Gelosamente legato ad una religiosità che riempie ogni crepa della vita di relazione, compresa la violenza, anche a costo di una stridente irragionevolezza come quella a tratti ridicola di Marcos che per espiare le sue tremende colpe va in pellegrinaggio a Nostra Signora De Guadalupe, ginocchioni ed incappucciato. L’indolenza dei personaggi, quasi vuoti involucri che si muovono come fronde agitate alla corrente calda e pigra della sopravvivenza, pur nell’atto estremo dell’amore, il fluire delle cose, stanco e privo di qualsiasi sussulto, eccetto quelli della crudeltà e della morte, fanno da sfondo ad un inganno omnicomprensivo che non poteva che concludersi nel peggiore dei modi.
denuncia politica della violenza rabbiosa da parte del popolino sfruttato e impotente che (sempre) scaturisce di fronte all'atteggiamento algidamente indifferente della borghesia.
linguaggio universale, valido ad ogni latitudine. dissacrante nei confronti del credo religioso, sfrontato verso la sessualità fine a se stessa di sessantottina memoria.
Un film lento, noioso, noioso e lento e ancora lento e noioso e noioso e lento. Poetico? No, patetico. E anche l'eros che viene presentato è pietoso: l'eros dovrebbe eccitatare, ma con tali soggetti coinvolti disgusta. Risultato? Inguardabile.
Purtropppo ho dedicato un'ora e mezza della mia giornata per vedere un film orribile.mi scuso con tutti coloro che ritengono questa pellicola un capolavoro o altro.dialoghi inesistenti,fotografia approssimativa,attori indecenti......e poi che dire....meglio spendere il proprio denaro in altro modo.Veramente da evitare.....