Kitano a questo punto della sua carriera può permettersi di fare un film dove rappresenta tutto ciò che gli passa per il suo folle cervello e lo fa in modo magistrale. Certo che questo film può essere apprezzato soprattutto da chi conosce i suoi film precedenti, le sue ossessioni per le sparatorie, per la spiaggia, per il tip tap.
Lunga Vita a Beat Kitano!
Seguo questo regista dai tempi di Violent cop.Ha la capacita di trasmettere l'orrore della violenza e la disperazione di amori impossibili in modo diretto.Questo film non è da meno, ripercorre tutta la sua carriera,piena di successi vista contemporaneamente da un artista affermato e da un poveretto che cerca di fare almeno una comparsa.Penso che questo film sia solo per intenditori e fan del grande Takeshi.
Un film di Kitano è sempre fonte di una grande attesa e aspettative, soprattutto quando al festival di Venezia è classificato fino all'ultimo come il fantomatico "film a sorpresa". Ciò giustifica l'ovazione da stadio che ha accompagnato la comparsa della scritta "Kitano office" sullo schermo(casa di produzione del regista), un'ovazione che si è trasformata in un tiepido applauso alla fine del film. Forse è infatti l'opera più allucinata del regista nipponico dove perfino il fan più scatenato viene disorientato e privo di coordinate: in esso infatti si ritrovano sì molte delle tematiche del cinema kitaniano (la comicità grottesca, i duelli interminabili tra mafiosi, la profonda amarezza di fondo, ecc...) ma sembra quasi che siano state messe in una centrifuga mentale e riposte in posizioni inusuali per lo spettatore; l'impressione è quella infatti di un utilizzo conclusivo di tutto ciò che rappresenta il cinema di kitano, il quale sembra voler in queso modo accomiatarsi da un certo genere cinematografico sfruttandolo come mai aveva fatto prima. Tutto ciò non può dunque che portare ad un senso di "ultima cena" che permea l'intero film di una sottile tristezza, perfino le scene più divertenti non riescono a nascondere completamente la maschera triste che le sta alle spalle. Ecco che allora lo possiamo definire, con i dovuti distinguo, come il suo "8 e 1/2", un film autobiografico come mai aveva fatto prima, un film riflessivo su tutto ciò che il kitano regista/attore è e/o poteva essere, un film che va digerito lentamente per poterlo comprendere ma che comunque segna in ogni modo la fine di un ciclo e l'inizio di un altro ancora del tutto ignoto a noi quanto al regista stesso. L'eleganza e la sensibilità dell'artista restano, come sempre, uniche che conferiscono alla cinematografia di kitano/beat takeshi un tratto inconfondibile e particolarissimo.
Zatoichi era un film essenziale ma da cui faceva trapelare tutto ciò che voleva dire.
Quest'ultimo film a mio avviso invece non ha la stessa intensità e carica del precedente.