02 Settembre 2005 - Conferenza stampa
"Takeshis'"
Intervista al regista Takeshi Kitano.
di Andrea D'Addio


Insomma le voci che giravano erano giuste. Il film sorpresa di quest'anno al Festival di Venezia è "Takeshis'" di Takeshi Kitano. E così la conferenza fissata subito dopo la proiezione del film, svela il proprio protagonista. Ma come lo dobbiamo chiamare: Takeshi Kitano, ovvero il regista, o con lo pseudonimo che utilizza da attore: Beat Takeshi?
Il tema del doppio nell'ultimo lavoro del regista giapponese di Dolls e Brother, è così smaccato che Marco Muller, direttore del Festival, prima che inizino le domande consegna al suo "ospite" una particolarissima e preziosa statuina di vetro, che se vista da una determinata angolazione e con una particolare luce (insomma nessuno in sala è riuscita a vederla) riflette alla propria base l'omino alla'apice del lavoro. Kitano ringrazia, ma si capisce come in tutte queste pompose cerimonie di presentazione non si trovi a suo agio. Partono le domande:


L'intero film è basato sul riflesso speculare tra Beat e Kitano. Quanto del reale Takeshi ha voluto inculcare in questi personaggi?
Kitano: Inizialmente avevo progettato un solo personaggio che entrava in diversi mondi e ambienti. Dopo invece ho cambiato, ed ho voluto fare una cosa che si avvicinasse più a me, anche se tra più personaggi. Volevo fare delle marionette da poter governare, creare uno spazio diverso dal solito. Anche un poco disturbare il pubblico in sala, che probabilmente non si divertirà tanto, ma potrà comunque risvegliarsi con questo film.

Il film ha una struttura onirica come in tuoi precedenti lavori, ci ritroviamo un po' tutto il tuo stile…
Kitano: Ho fatto decine di film finora. Spero con questo di aver finito di avvitare una vite, poterne cominciare un'altra. Il mio prossimo lavoro sarà diverso

Come?
Kitano: Non ho mai scritto bene personaggi femminili, mi piacerebbe farlo adesso. Comunque sarà qualcosa di comico, di divertente

Il film è volutamente confuso. C'è però un soldato americano ad inizio film con un mitra puntato su di lei. Ha un significato da attualizzare?
Kitano: No, assolutamente. E' un sogno che avevo ricorrente da bambino quello dei soldati americani, ma senza alcuna dietrologia. Avevo questo sogno e ho voluto metterlo nel film.

Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato un regista di successo?
Kitano: Non mi ritengo una persona di successo. Faccio un lavoro come un altro dove ci si stanca tantissimo sia mentalmente che fisicamente. Mi è successo anche in questo film.
Ammiro comunque moltissimo quegli studiosi impegnati nella ricerca scientifica

Ha mai visto film del regista finlandese Aki Kauriskmaki?C'è il suo stesso humour nero in questo lavoro…
Kitano: Si, ne ho visti parecchi, ed uno proprio mentre realizzavo questo film. Mi sento un po' in colpa però perché l' ho visto in dvd e non al cinema

(Partono poi le cosiddette domande "solo io ti ho capito veramente", ovvero si chiedono al regista di turno accostamenti tra il proprio film ed altri, o tra il film e la situazione politica attuale che puntualmente vengono smentiti)

C'è Fellini in questo suo film?
Kitano: Fellini assieme a Godard sono tra i miei registi preferiti. Solo che non li ho mai capiti, forse la mia intelligenza è proprio bassa, ma io non li capisco.

Lei utilizza sempre le pistole e le sparatorie nei suoi film. C'è una polemica verso l'abuso con cui queste vengono utilizzate nella realtà?
Kitano: No, è che con le pistole, rispetto alle spade, finisco prima le scene. E' tutto più veloce

C' è un chiaro richiamo a Napoli quando lei chiede in una scena nel ristorante, quando ordina gli spaghetti alla napoletana e poi sottolinea di volerli mangiare con la forchetta. Come mai?
Kitano: Io credevo semplicemente che dire spaghetti alla napoletana significava pastasciutta in generale. Adesso scopro che non è così, mi spiace per il fraintendimento.

Nel suo film c'è amarezza…
Kitano: Bah, forse alcuni spettatori saranno delusi da questo film, anche se il mio scopo non è quello di fare una grossa morale, anzi, è un film semplice dove c'è poco da capire, compresa l'amarezza.


  

Intervista per il film "Takeshis'".


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