Questo non e' cinema, miei cari pseudocritici dell'arte mancati e risoluti.Pierre Hombrebueno accosta un'opera di Barney a Kubrick definendola kubrickiana... Che grande sciocchezza... Cellulitiche islandesi, obrobrio, terremoti e tragedie... Ma state scherzando? Non ho ancora avuto il piacere di vedere drawing restraint 9 e so che me lo guardero' con gusto fino all'ultimo secondo... Le grandi opere d'arte non sono pompate dal suon di mani crepitanti e dagli applausi fiacchi che durano mezz'ora... Meditate, esseri rudi e spregevoli...
Non poteva che essere tanto lento quanto emozionante il film dell'artista contemporaneo Barney. Lento come solo certi riti orientali sanno essere (la scena dedicata alla cerimonia del té è al limite del narcotizzante), ma allo stesso modo infinitamente affascinante e ipnotico.
La prolissità di certe sequenze non va certo ad aiutare un film muto al 95% della durata di oltre due ore, come anche l'uso di una simbologia particolarmente ostica, aperta a molte interpretazione ma anche impermeabile alle menti più comuni.
Il film, avrete capito, non è per tutti.
La maggior parte delle persone non è ancora abituata a questo tipo di rarefazioni, a dei ritmi che sfiorano la stasi, praticamente l'opposto della cultura cinematografica occidentale di successo (non a caso diversi spettatori se ne sono andati nemmeno dopo un'ora di proiezione).
Per molti il meccanismo creativo di Barney è solo una forma di estetizzazione geometrica, gelida e vuota.
Nulla di più sbagliato.
Un'importante chiave interpretativa dell'opera è il titolo, che rimanda subito allo scontro tra raziocinio restrittivo e libertà totale, al di fuori di qualsiasi disciplina.
Molte scene puntano su questo contrasto, basti pensare al momento in cui i due protagonisti, dopo momenti infiniti di autocontrollo muto e zelante si lasciano andare alle effusioni più estreme e veraci, con taglio di arti, unioni di sangue e di spirito.
Questa scena ad esempio è accompaganata da un canto giapponese rigorosissimo, utilizzato nel teatro noh per entrare a contatto con gli spiriti.
Questo scontro si manifesta in tutto il film e culmina nel momento in cui viene tolto il supporto ad una gemometrica scultura di vaselina, la quale si disfa, a differenza dell'altra scultura che regge anche senza infrastrutture (quelle della mente).
I livelli di questo film sono molti, e non mi sembra il caso di affrontarli tutti. Va citato però il modo in cui viene affrontato il rapporto fra America e Giappone subito dopo la bomba atomica di Nagasaki: la riapertura alla caccia alle balena per volere del generale americano MacArthur, ringraziato da una popolazione giapponese in ginocchio per la fame, è rappresentata dal delicato impacchettamento del dono giapponese per il generale, con sottofondo la commovente e toccante voce di Will Oldham, accompaganto da un'eccellente composizione di Bjork per arpa e celesta.
L'artista islandese ha curato la colonna sonora, regalandoci delle perle di rara bellezza.
Le distorsioni di "Storm" fanno da sottofondo ad una delle scene più belle del film, quello della tempesta e del repentino avvicinamento dei due amanti occidentali a bordo della petroliera giapponese.
La musica e la scintillante e cupa strumentazione scelta si fonde perfettamente con le immagini, come anche la bellissima voce di Bjork, surreale e astratta come molte scene del film.
Indimenticabila la romantica e libera fine del film.
Onirico e visionario come pochi, Matthew Barney ci porta su una baleniera al largo del giappone in un diffile rapporto tra giappone e occidente nel dopo bomba e con un prograssivo ritorno del tutto all'elemento acqua. Due ore e mezzo senza dialogo, scandito da una colonna sonora bellissima ovviamente impreziosita dalla voce di Bjork, anche attrice. due ore e mezzo senza storia, ma pieno di suggestioni e visioni e, soprattutto, di immagine perfette. anche questo e cinema, e di grande livello, a dispetto di una sala veneziana fredda e che si svuota prograssivamente durante la proiezione.