Diario di uno scandalo
Judi Dench e Cate Blanchett si contendono l'ambito titolo di "Donna dello scandalo" nell'ultimo film di Richard Eyre, tratto dal romanzo di Zoe Heller. Insieme alle attrici, con la colonna sonora di Philip Glass e la sceneggiatura non originale di Patrick Marber, la pellicola si guadagna ben quattro candidature al Premio Oscar richiamando a sé grande curiosità e aspettativa.
Il film offre tensione, segreti indicibili e sentimenti morbosi serviti su un piatto portato con disinvoltura dalla borghesia inglese che tanto fa perbenismo e quindi, tacitamente, ipocrisia. Gli ingredienti per un buon film, con atmosfere retrò riprese da film come "Attrazione fatale", ci sono tutti. Non mancano neppure le scene di sesso, che non fanno vedere nulla, ma che esplicitano tutto e che tanto piacciono al pubblico.

La giovane Sheba Hart (Cate Blanchett) è la nuova insegnante di arte in un liceo di Londra. Il suo magnetismo e il suo modo di fare serafico attirano l'attenzione di tutti, studenti e professori. Anche quella dell'anziana professoressa Barbara Covett (Judi Dench) che quando scoprirà la relazione segreta tra la giovane insegnante e uno studente di appena quindici anni, non tarderà ad usarla a suo vantaggio per ricattare la donna e formare con lei un ambiguo e malato rapporto di complicità...

I veri punti di forza del film sono la recitazione delle due attrici protagoniste, affascinanti e magnetiche, con una Dench mai così disperatamente deviata, e una Blanchett seducente quanto ingenua; e la colonna sonora, tesa come una corda di violino dalla prima all'ultima nota, capace di regalare più di un sussulto allo spettatore e di rendere avvincente l'intera pellicola. La regia di Richard Eyre, noto soprattutto per i recenti Stage Beauty e Iris, sostiene il buon ritmo cadenzato dall'accompagnamento sonoro. Scene di vita quotidiana, intervallate dai primi piani intensi ed enigmatici delle due attrici, si accavallano in un montaggio non sempre perfetto ma comunque distrattamente funzionale all'azione. Una regia non completa quindi, ma idonea a un film come questo che punta tutto sulla suspance e la risoluzione drammatica della vicenda.

La sceneggiatura, presente nel lungo monologo della Dench che accompagna il film dall'inizio alla fine, pur possedendo per questa ragione un intima indole letteraria di grande suggestione (logica questa che, presumibilmente, gli è valsa la candidatura all'Oscar), si perde in molti passaggi e in alcune soluzioni registiche rischiando a più riprese di rendere paradossale l'intera vicenda. Inaspettate risate di scherno, infatti, assalgono lo spettatore e rompono il tanto sudato pathos della trama.
Difficile credere all'ingenuità del personaggio di Cate Blanchett, che si lascia trascinare troppo, e forse troppo forzatamente, in una situazione sì complicata, ma che non appare mai del tutto ingestibile. Ricatti e ripicche alternano messaggini osceni (quelli mandati dal giovane studente alla professoressa tramite sms...) e dialoghi mai troppo convincenti. Il risultato è, per questa ragione, poco appagante: un film che si lascia vedere per le motivazioni già dette, e che forse può anche appassionare, ma che oscilla pericolosamente, e costantemente, verso il baratro della deludente farsa.

La frase: "...C'è una grande distanza tra la vita che sogni e la vita reale..."

Diego Altobelli

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