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Mary
Ferrara non è mai banale. Se ha qualcosa da dire, lo fa senza crearsi problemi. "Mary" sua ultima fatica arriva dopo quattro anni dal suo precedente film "Il nostro Natale".
Protagonisti della vicenda sono tre controversi personaggi.
Il primo è l'attrice Marie Palesi (Juliette Binoche), che dopo aver interpretato Maria Maddalena (da qui il titolo "Mary") in unafantomatico film sulla vita di Gesù, decide di ritirarsi dalla vita da diva ed andare a vivere a Gerusalemme per conoscere i luoghi del Vangelo, e rendersi utile in un territorio continuamente in guerra.
Il secondo è Tony Childress (Matthew Modine), il regista del film di cui sopra. E' un uomo attaccato ai soldi che vede la storia del "Messia" come un'opportunità per farsi strada nel mondo del cinema.
L'ultimo è Ted Younger (Forest Whitaker). Anche lui, come il regista, è un uomo che sfrutta la religione per la propria carriera. Conduce, infatti, un programma televisivo di successo che parla di fede. Le considerazioni della sua compagna, nonché un tragico evento, gli faranno però cambiare il proprio rapporto con la "fede"
In "Mary" Ferrara ci da tre punti di vista diversi con i quali approciarsi alla religione. Marie è la persona coerente, che una volta entrata in contatto con un ruolo profondo come Maria Maddalena non riesce a scrollarselo di dosso. Tony (parodia di Mel Gibson) è colui che si sente sopra a tutti e a tutto. Dice di essere l'unico a poter interpretare Gesù perché non si rende conto di ciò che realmente sta rappresentando. E fino alla fine non capisce che se si vuole fare un film spirituale spacciandolo come uno manifestazione della sua "fede", non può essere così legato alle logiche di promozione e mercato. Ferrara lo trucca e lo fa parlare come Mel Gibson…
Ted rappresenta invece colui che si interroga e, finalmente capisce.
Tre differenti visioni, tra cui troviamo anche una profonda riflessione su ciò che significa essere giornalista. Non solo attraverso Ted, ma anche e soprattutto con quelle immagini (tutte rigorosamente vere) che vediamo provenire da Gerusalemme. Quando e quanto ciò che vediamo può rimanere distante prima che si intervenga?
Il film è quindi particolarmente complesso, ma il grande rischio è quello annoiarsi a morte. Nonostante infatti la lettura delle intenzioni appaia interessante, la resa sullo schermo è pesante. In ben 83 minuti Ferarra mette una sola battuta divertente (quella su Mel Gibson) e non basta per evitare che gli spettatori meno partecipi alla vicenda, sprofondino sulla poltroncina.
La frase: "Non riesco a parlare con Dio".
Andrea D'Addio
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