L'intervallo
Una storia di adolescenti dove gli adulti non ci sono o sono al di fuori, avvertiti come minaccia o come portatori di regole e consuetudini da rispettare.
La storia di Salvatore e Veronica, i quali, con le fattezze degli esordienti Alessio Gallo e Francesca Riso, vediamo fin dall’incipit rinchiusi in un enorme, fatiscente edificio abbandonato di un quartiere popolare, dove il primo, obbligato dal capoclan di zona, deve sorvegliare la seconda.
Una storia che Leonardo Di Costanzo, proveniente dai documentari e qui alle prese con il suo primo lungometraggio di finzione, racconta lasciando emergere i profili di due giovanissimi entrambi troppo cresciuti; con lei propensa a comportarsi da donna matura e spregiudicata e lui da ometto che deve badare al lavoro e alla tranquillità.
Due giovanissimi che ascoltiamo parlare di spiriti e vediamo giocare di fantasia con il poco che hanno a disposizione nel tragico, violento contesto di reclusione; al quale reagiscono l’una scalpitando e ribellandosi e l’altro, forse per paura, mantenendosi remissivo e accomodante.
Mentre provvedono soltanto i cinguettii fuori campo a disturbare la quiete in cui sono immersi, man mano che la loro ostilità, tra confessioni e scoperte reciproche, si trasforma in una inevitabile intimità.
Non a caso, è proprio l’affascinante ambientazione a rientrare tra i maggiori punti di forza dei circa ottantasei minuti di visione interamente costruiti sul lungo dialogo tra i due; quando non abbiamo occasionali interventi da parte dei pochissimi personaggi secondari.
Ottantasei minuti di visione che, inizialmente tutt’altro che distanti dal modo in cui vengono sviluppati determinati spettacoli teatrali, si costruiscono interamente – e in maniera efficace – sull’attesa; risultando sostenuti superbamente dai due protagonisti, che il regista sfrutta a dovere riuscendo a evitare di far cadere l’insieme dalle parti di quello che sarebbe potuto apparire come l’ennesimo cortometraggio forzatamente dilatato a lungo.
Senza dimenticare il prezioso apporto della fotografia a cura dell’infallibile Luca Bigazzi, il quale, girando con macchina a spalla e senza luci aggiuntive, a esclusione di qualche necessario rinforzo nelle notturne, finisce per accentuare il realismo della situazione raccontata.
La frase:
"- Ma la terza media l’hai fatta?" - "Come no, due volte".
a cura di Francesco Lomuscio
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