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Lettere da Iwo Jima
Clint Eastwood torna alla battaglia di Iwo Jima per raccontarla dal punto di vista di chi ha perso, di coloro che di solito nei resoconti di storia sono mere ombre, dimenticate per l'onta della sconfitta.
La vicenda viene ricostruita attraverso il ritrovamento di alcune lettere scritte dai soldati semplici e dal generale Tadamichi alle famiglie, durante i giorni della battaglia e sepolte nelle sabbie vulcaniche dell'isola.
La costruzione delle trincee, i rapporti con la popolazione, le privazioni e poi i combattimenti tutto viene descritto attraverso le loro parole e i loro racconti.
Abbandonando quasi completamente il colore, visibile solo nel rosso del sangue e delle esplosioni, Eastwood spoglia la vicenda di inutili orpelli, ponendo al centro del film l'Uomo, la sua umanità, i suoi bisogni, le sue paure. Se in "Flags of our father" i soldati nipponici erano solo ombre, qui sono i soldati americani ad apparire fugacemente, ma c'è assoluta equivalenza tra loro, gli stessi sentimenti li muovono e li fanno andare avanti, tanto che le parole di una madre americana vengono sentite come proprie dai soldati giapponesi.
Gli scontri, i combattimenti vengono ridotti all'essenziale, i veri protagonisti sono gli uomini. Il generale Tadamichi Kuribayashi, uomo di grande cultura e di grande intelligenza, che ha studiato in Canada e vissuto a lungo in America, un uomo moderno che si oppone ai metodi retrogradi degli ufficiali e studia nuove strategie per poter resistere all'attacco americano; il Barone Nishi, un campione olimpico di sport equestri di fama mondiale, conosciuto per la sua bravura e per la sua correttezza; il soldato semplice Saigo, un ex fornaio, desideroso solo di tornare a casa per vedere la sua bambina.
C'è un'intensa partecipazione emotiva nel filmare le loro vite, questo crea una forte empatia col pubblico, che supera la barriera linguistica (tutto il film è recitato in giapponese), grazie anche alle toccanti interpretazioni di tutti gli attori, in particolare Ken Watanabe, nel ruolo del generale Tadamichi, dà vita ad un personaggio ricco di sfumatura e profondamente umano.
Se si vuol trovare un difetto nel film è quello voler rendere vinti e vincitori identici, troppo identici, questa totale equivalenza tra americani e giapponesi, tende, ad appiattire e uniformare troppo la mentalità giapponese a quella americana. Il suicidio di massa di alcuni soldati sconfitti ci viene mostrato attraverso gli occhi di Saigo, il cui unico pensiero è tornare a casa, noi ci identifichiamo con il suo sguardo e con il suo sentire, quel gesto ci viene presentato come una follia e non ci aiuta a penetrare nella mentalità giapponese, non ci aiuta a capire perché per loro fosse più onorevole il suicidio della resa.
La frase: "Fai ciò che è giusto, perché è giusto".
Elisa Giulidori
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