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Il canone del male











Le molestie sessuali di un professore a una studentessa, un gruppetto di scolari imbroglioni ed episodi di bullismo sono alcuni dei problemi che, uno dopo l’altro, risolve nel liceo privato "Shinko" Seiji Hasumi, ovvero un insegnante modello benvoluto dagli studenti e rispettato dai colleghi.
Sotto la regia del Takashi Miike che lo diresse in "Sukiyaki western Django" (2007) e che qui prende ispirazione da un romanzo di Yûsuke Kishi, è il giapponese classe 1975 Hideaki Itô a concedere anima e corpo a questo docente dietro la cui brillante reputazione sembra nascondersi qualcosa di indecifrabile e minaccioso, destinato a emergere dal suo passato quando comincia a prendere il controllo della scuola.
Però, nel corso dei circa centotrenta minuti totali di visione, bisogna oltrepassare almeno un’ora buona tempestata di chiacchiere e costruita su lentissimi ritmi di narrazione prima che la pericolosa verità venga alla luce; catapultando quello che sembrava un comune dramma d’ambientazione scolastica in un tripudio di violenza e spargimenti di liquido rosso, tutt’altro che lontano dal cinema dell’orrore.
Infatti, si passa da una tortura eseguita con il saldatore a corpi bruciati vivi, fino ad approdare a una sequela senza sosta di uccisioni attuate tramite arma da fuoco.
Ma, in maniera paradossale, se la citata prima parte d’attesa appariva inutilmente tirata per le lunghe, lo risulta anche la seconda, talmente infarcita di splatter e semina di cadaveri da riuscire difficilmente a evitare i connotati di un gratuito bagno di sangue su celluloide.
Un aspetto che riconferma la negativa tendenza (ma, chissà perché, lodata da più parti) del prolifico autore di "Ichi the killer" (2001) e "Yattaman - Il film" (2009) ad abbandonarsi in maniera eccessiva alle esagerazioni gore quando non si trova a dirigere commedie o, comunque, prodotti non incentrati sul sensazionalismo da strage.
Un vero peccato, perché quello che, complice il consueto, apprezzabile gusto visivo miikiano, poteva rivelarsi un buon elaborato di genere capace di sfiorare i connotati di un fumetto underground, finisce, invece, per spingerci a desiderare che non venga mai realizzato il sequel annunciato prima dei titoli di coda.

La frase:
"Uniti resistiamo, vivi cadiamo".

a cura di Francesco Lomuscio

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