La bocca del lupo
«Dopo il pasto viene il guasto, dopo il canto viene il pianto, diceva quello, e diceva bene.»
("La bocca del lupo", capitolo VII – Remigio Zena)
Tutto vero. Enzo Motta e Mary Monaco sono due persone con una storia alle spalle molto diversa: lui è figlio di un contrabbandiere siciliano trapiantato a Genova che ha visto culminare la sua giovinezza complicata con la condanna a ventisette anni di prigione per aver quasi ammazzato due poliziotti; lei è una transessuale (ex)borghese della Roma bene fuggita poco più che maggiorenne nel capoluogo ligure per rincorrere la sua sessualità. Diversi, appunto, ma eccezionalmente uniti dallo stesso sentimento che li nutre e li riscatta dal passato amaro e invisibile. I loro percorsi si incrociano in carcere: chiacchierano durante l’ora d’aria, si mandano messaggi in codice, si desiderano per quattro, fantastici mesi; poi Mary abbandona la prigione, ma non il cuore e la mente di Enzo che continueranno ad essere alimentati per sette lunghi anni con un’attiva corrispondenza fatta di lettere e registrazioni su cassette nascoste.
Una storia d’amore e di redenzione, è questo più di ogni altra cosa il documentario-mélo dell’eclettico Pietro Marcello (casertano, classe 1976) a cui, dopo l’esordio con il mediometraggio "Il passaggio della linea" (premiato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2007) viene commissionato "La bocca del lupo" dalla Fondazione dei gesuiti di San Marcellino.
L’aspetto che più colpisce nel lavoro di Marcello è l’autenticità fuori dal comune di personaggi e luoghi legata alla sperimentazione della messa in scena, attraversati dalle tantissime immagini d’epoca e dissolti nella magia letteraria che gli fa da cornice. Un racconto lucido scandito dalle registrazioni amorose ai tempi del carcere, che ci descrive anche la città di Genova: la mutazione sociale dei vicoli storici e quella del tessuto industriale, in uno scorrimento di immagini abbaglianti, malinconiche ed emozionanti.
Durante questo flusso suggestivo la straordinaria maschera logora e rude di Enzo - appena uscito di galera - ripercorre gli errori di una vita (dice di sé: "io sono libero, franco e indipendente") nei luoghi di un tempo e arriva nel ghetto della città vecchia dove lo attende da anni Mary, con la quale condivide un sogno: una casetta nella quiete della campagna, dove trascorrere, circondati da qualche cagnolino festante, una felice vecchiaia. Apice emotivo ed epilogo dell’opera è quando i due protagonisti si offrono in tutta la loro autenticità all’obbiettivo, con Mary che racconta con dolcezza l’incontro dietro le sbarre, l’innamoramento ("i quattro mesi più belli della mia vita"), l’obbligato distacco fisico, mentre Enzo ascolta compiaciuto sfregandosi continuamente le braccia virili e lo spettatore viene colpito dritto al cuore.
Da menzionare: il lavoro di archivio per le immagini di repertorio (collaborazione della Mediateca Regionale Ligure – La Spezia) e le musiche (ERA). Vincitore del Torino Film Festival 2009 e in gara alla prossima Berlinale (11-21 Febbraio) nella sezione Forum.
La frase: "Ti amo, bastarda!".
Nicola Di Francesco
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