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Io sono Li











Andrea Segre, fondatore dell’associazione Zalab che sviluppa progetti di produzione e laboratori video-partecipativo e già conosciuto al Festival di Venezia per diverse pellicole come "Dio era un musicista" del 2003 fino a "Il sangue verde" del 2010, è ora al suo esordio come regista di film con "Io sono Li" presentato alla 68° edizione del Festival di Venezia. E’ una favola delicata e ricca di sentimenti, che indaga sulla natura umana, ispirata alla difficile vita che devono a volte subire i lavoratori immigrati in Italia, in particolare cinesi, senza però essere strettamente legata a una storia in particolare, è un’osservazione della vita di tutti i giorni, del comportamento umano di fronte all’immigrato, visto come diverso e cattivo. Come ha sottolineato il regista: "Il tentativo è quello di mostrare gli immigrati come persone che raccontano quello che vivono e pensano e "Io sono Li" è anche un punto di sintesi del mio percorso registico nell’ambito del cinema-documentario". E’ un racconto nato, come ha spiegato il regista, dal ricordo di una donna cinese che lavorava in una tipica osteria veneta: "Il ricordo di questo volto di donna così estraneo e straniero in questi luoghi ricoperti dalla patina del tempo e dall’abitudine, non mi ha mai lasciato". "Io sono Li" è una storia dolce e amara, senza lieto fine, ma in cui, nonostante tutto, c’è una speranza per il futuro.
La protagonista è Shun Li un’immigrata cinese che lavora in un laboratorio tessile alla periferia romana per ottenere i documenti per far venire in Italia suo figlio di otto anni. Improvvisamente però viene trasferita a Chioggia a fare la barista in un’osteria che i suoi capi hanno appena comprato. Un’osteria antica, luogo di ritrovo per i pescatori della piccola città ed è qui che conosce Bepi, detto "Il Poeta". Bepi è di origine rumena e molti anni prima si è trasferito in Italia con la famiglia, ora è solo, la moglie è morta e i figli sono grandi e abitano a Mestre. Bepi e Shun Li sono due anime sole, soffrono la solitudine e la perdita dei loro cari e condividono insieme la passione per la poesia, così lentamente questi due spiriti si avvicinano stringendo un’amicizia, si confidano, trovando conforto nell’altro. Nessuno capisce ciò che li lega e questo spaventa entrambe le comunità, sia quella italiana che quella cinese, soprattutto perché nessuno crede al fatto che la loro sia una semplice amicizia. Le chiacchiere del paese sono ben presto sulla bocca di tutti, nessuno sembra riuscire a farsi gli affari propri e tutti arrivano a giudicare male i cinesi, in fondo è facile condannare e avere paura di ciò che non si conosce e non si capisce, fa parte dell’animo umano. E’ proprio a causa di tali chiacchiere però che Shun Li viene allontanata e spedita di nuovo a lavorare in fabbrica nella speranza un giorno di poter abbracciare il suo bambino, ma non passa molto tempo che il sogno... E’ un’opera romantica, ben strutturata che pulsa di sentimento non solo in relazione a questa amicizia, che magari con gli anni poteva trasformarsi in amore, ma soprattutto per la terra natale. Sì, perché anche la laguna con le sue anse e la sua vita misteriosa diventa un personaggio della storia. I ritmi sono lenti, ma ben cadenzati, la fotografia pulita di Luca Bigazzi cerca di catturare le suggestive atmosfere della laguna, che racchiude in sé tratti antichi e moderni, poiché questa è la storia di oggi come d’allora. Bravissimi gli interpreti italiani a partire da Marco Paolini, Giuseppe Battiston e Roberto Citran che spesso si trovano a parlare in dialetto e su di loro si impone la delicatezza e dolcezza della figura di Shun Li, interpretata da una convincente Zhao Lao, attrice di fama internazionale.

La frase:
"In italiano la laguna è femminile, calma e misteriosa".

a cura di Federica Di Bartolo

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