Il Maledetto United
Il calcio è forse il meno cinematografico degli sport. Sarà perché ci accorgiamo subito se uno sa toccare il pallone con un piede e si percepisce in un attimo quando un attore non lo sa fare, sarà perché non è un fenomeno americano e solo gli americani hanno mezzi e approccio giusto per spettacolarizzare uno sport, ma così è stato finora. Almeno nella maggior parte dei casi. Ecco quindi che bisogna "accontentarsi" di storie che ruotano accanto a quel mondo, ma che non puntano su goal e assist, ma che cercano di scavare dentro le vite dei suoi protagonisti. In Italia, a parte Sordi e Banfi, più recentemente ci fu il bellissimo "Uomo in più" di Sorrentino. In Inghilterra, dopo "Best", incentrato su George Best, è ancora la volta di una storia biografica.
Il dannato "United" del film è, infatti, il Leeds (e non il Manchester come in molti potranno pensare) per Brina Clough. Una squadra maledetta per il più grande allenatore inglese di sempre. Nel Regno Unito Clough è una vera e propria leggenda: vittoria della Premier con la provinciale Derby County nel 1972 e due Coppe dei Campioni tra il 79 e l’80 con l’altrettanto non quotata (nonché distante solo 26 km da Derby) Nottingham Forest. Eppure, nonostante tanti successi, c’è un grande neo nella carriera di questo uomo diventato leggenda (che ha statue celebrative sia a Nottingham che a Derby): il suo esonero dal Leeds United. Proprio questa squadra fu, almeno per tutta la prima parte della sua carriera, una vera e propria ossessione per lui. La rivalità con il precedente allenatore della squadra Don Revie, altro guru del calcio inglese, pesò sul suo approccio con la nuova squadra e lo divise, almeno temporaneamente, dal suo grande amico, l’allenatore in seconda Peter Taylor. E’ proprio questo il rapporto posto al centro del film (tratto dal libro di David Pearce): una relazione che dimostra come spesso, anche per chi non scende in campo, le vicende personali influiscono sul rendimento sportivo. Il rito pre-partita, la solitudine e allo stesso tempo l’ambizione del protagonista, le logiche di spogliatoio, il rapporto con i media (altro che Mourinho) e quello con il presidente: con "Damned United", al di là dello spunto biografico, si entra davvero dentro porte che poche volte vengono aperte al pubblico. Il regista Tom Hooper racconta con fluidità tutto questo, facendo un buon uso del flashback e del materiale d’archivio, riuscendo sempre a far sembrare vicino il campo da gioco anche se non lo si vede quasi mai. Quella fotografia grigia tipica dei film inglesi, nonché la perfetta ricostruzione scenografica e di costumi, fa sembrare di tornare indietro nel tempo. La vera forza del film è però senza dubbio Michael Sheen, l’attore protagonista già visto recentemente in "Frost vs Nixon", è uno dei volti più interessanti del panorama cinematografico attuale. Ne sentiremo ancora parlare.

La frase: "Le cose andranno un po' in maniera differente qui... senza Don".

Andrea D'Addio

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