Il Grande Match
Pare che l’idea di porre sul ring l’uno contro l’altro, in un unico lungometraggio, il Rocky Balboa del grande schermo e il Jake LaMotta di "Toro scatenato" (1980) sia venuta allo sceneggiatore Tim Kelleher pensando a quando, nel 1999, si cercò di organizzare un match (mai tenutosi) tra Larry Holmes e George Foreman, allora entrambi cinquantenni.
Affiancato in fase di script da Rodney Rothman, quindi, ha partorito i personaggi di Henry”Razor”Sharp e Billy”The Kid”McDonnen, i quali, pugili di Pittsburgh rispettivamente con le fattezze di Sylvester Stallone e Robert De Niro, sono diventati trent’anni addietro famosi per la rivalità che li opponeva, fino al giorno in cui il primo decise improvvisamente di annullare il terzo e decisivo incontro, facendoli precipitare entrambi nell’anonimato.
Anche se non immaginano che il promoter di pugilato Dante Slate Jr. alias Kevin Hart, vedendo la possibilità di fare soldi, è intenzionato a proporgli di tornare a indossare i guantoni per una resa dei conti decisiva.
Ed è da qui che Sharp ritrova al proprio fianco il suo ex allenatore Louis”Lightning”Conlon, ovvero Alan Arkin, per lui quasi figura materna, mentre McDonnen, a sua volta, viene allenato dal figlio BJ, interpretato dal Jon Bernthal di “The wolf of Wall Street” (2013).
Perché, considerando anche la presenza di Kim Basinger nei panni di Sally, figura femminile che cambiò le vite dei due protagonisti, è sui diversi rapporti umani che Peter Segal – regista de “La famiglia del professore matto” (2000) e “L’altra sporca ultima meta” (2005) – si concentra in particolar modo per raccontare su celluloide una storia di taglio sportivo il cui aspetto più importante, però, è rappresentato dalla tematica della seconda occasione.
Una storia di taglio sportivo che, in maniera inaspettata, intende prendersi tutt’altro che sul serio, facendo dell’invecchiamento il giusto elemento su cui giocare buona parte dello humour che tempesta l’oltre ora e cinquanta di visione, non priva, ovviamente, di omaggi alla succitata saga stalloniana e al boxer di Martin Scorsese.
Oltre un'ora e cinquanta di visione destinata a divertire non poco lo spettatore, senza risparmiargli, comunque, un pizzico di malinconia e rendendolo tranquillamente consapevole del fatto che, complice l’ottima prova sfoggiata dal cast, quello che scorre sullo schermo può essere considerato senza alcun dubbio uno dei più riusciti lavori realizzati dal cineasta di New York... fino alle esilaranti, ultime sequenze che vi attendono durante i titoli di coda.
La frase:
"Se uno dei due va al tappeto potremo dire che gli è venuto il colpo della strega?".
a cura di Francesco Lomuscio
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