Heya fawda (Le Chaos)
“Le cose vanno dette, si devono sapere e quindi anche io, come i potenti, pretendo di alzare la voce. (Youssef Chahine)”. Con questo spirito il regista egiziano ha diretto “heyda Fawda – Le chaos”, il suo quarantaquattresimo film presentato in concorso alla 64ª Mostra del Cinema di Venezia. Considerato uno dei maggiori cineasti del mondo arabo, Youssef Chanine, nonostante i suoi ottant’anni mostra tutto il suo vigore e la sua vitalità in questo film che denuncia la corruzione nel suo paese.
La pellicola è ambientata nel quartiere di Choubra, Cairo, dove la molteplicità etnica e sociale sono l’elemento portante. Una giovane professoressa di storia è innamorata del nuovo Pubblico Ministero, già fidanzato e figlio della direttrice della scuola in cui insegna.
Nour, questo il nome della ragazza, è a sua volta è amata e molestata dal suo vicino di casa, un poliziotto prepotente e corrotto che perseguita e terrorizza gli abitanti in cambio di favori.
L’intenzione del regista, che ben traspare sin dai primi fotogrammi, è di mostrare una società egiziana cosmopolita e varia, dove gli abitanti sono uniti, gentili e cortesi. Ma allo stesso tempo, l’atteggiamento sempre più corrotto delle autorità, rende difficile la vita a questi cittadini che non sanno più come far valere i propri diritti, e spesso sono bistrattati e ridotti a stenti, senza che nessuno riesca a far niente.
L’amore è la chiave di lettura del film. Quello malato e perverso che porta al male, è quello del poliziotto che per avere Nour è pronto a tutto, anche a distruggerla, e quando lei gli mostra il suo disprezzo, lui diventa ancora più cattivo e crudele contro chi gli sta intorno.
Ma c’è anche l’amore puro, quello vero, che riesce a convincere un popolo a ribellarsi alle autorità.
Per uno spettatore occidentale, non abituato alle produzioni medio orientali, “Heya fawda – Chaos”, può sembrare un film strano. Intriso di un pudore ormai dimenticato, sembra quasi di assistere ad una soap opera, dove gli attori nei gesti e nelle parole sono troppo enfatici.
La musica diventa da colossal nei momenti più importanti, e i clichè tipici dei film di Hollywood compaiono come in una sorta di parodia.
Ma poi, alla fine ci si rende conto che due ore e venti di pellicola sono volate via veloci, che in qualche modo siamo rimasti affascinati da uno stile così particolare, e che la storia ci ha coinvolto più di quanto non pensassimo. Ci siamo divertiti quando la situazione lo richiedeva, ci siamo sdegnati per il comportamento delle autorità, e abbiamo pianto con i protagonisti quando le cose diventavano drammatiche. Un plauso va anche agli attori, che sono stati bravi a portarci nel loro mondo così distante dal nostro, riuscendo a farci capire in pieno il messaggio del regista.

La frase: "
- Cherif mi ucciderò!
- Francamente, non m’importa!".

Monica Cabras

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