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Figli

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio17 gennaio 2020Voto: 5.0
 

  • Foto dal film Figli
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Ogni coppia di genitori ha una nuova storia e ognuno è diverso dall’altro. Ed è proprio una nuova storia di genitori quella che Giuseppe Bonito – autore di “Pulce non c’è” – tenta di raccontare nella oltre ora e mezza di visione nata dalla penna del Mattia Torre che, prematuramente scomparso nell’estate 2019, fu tra gli artefici della serie televisiva “Boris”. Genitori che possiedono in questo caso i volti di Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea e che vedono sconvolgersi gli equilibri di tutta la famiglia – che costituiscono insieme alla loro bambina di di sei anni – dal momento in cui arriva un secondo figlio.
Un evento che comincia a rendere l’esistenza dei due un continuo alternarsi di attimi di felicità e situazioni di sconforto, durante lo svolgimento di sette capitoli spazianti da “Il sonno” a “Le cose piccole”.

Capitoli comprendenti anche “La Domenica”, “Le regole” e, ovviamente, “La crisi”; man mano che, tra nonni stravaganti, incubi notturni e amici sull’orlo di una crisi di nervi, finiscono davanti all’obiettivo della macchina da presa non pochi volti noti, da Valerio Aprea a Stefano Fresi, passando per Paolo Calabresi, Andrea Sartoretti e Gianfelice Imparato. Alcuni coinvolti in fugaci apparizioni, altri in ruoli leggermente più consistenti, non provvedono altro che ad arricchire un validissimo cast che, però, sarebbe stato decisamente meglio sfruttare altrove.
Perché, se escludiamo il divertente incontro con una petulante passeggera di autobus e, al massimo, il personaggio della babysitter ciociara grottescamente in fissa per le uova alla cocca, “Figli” non si rivela altro che l’ennesima commedia che si propone di raccontare in maniera veritiera – seppur ricorrendo all’ironia – la comune coppia tricolore d’inizio terzo millennio, ma facendovi rispecchiare, in realtà, soltanto gli spettatori di taglio radical chic. Gli spettatori che, senza alcun dubbio, come i due protagonisti risiedono in uno dei quartieri più costosi di Roma, immedesimandosi con loro anche nel rivolgersi alla pediatra guru (che tristezza!), ovvero colei davanti alla quale vengono fuori aspetti che a casa non emergono. Una trovata, quest’ultima, che dovrebbe risultare comica, come pure il fatto che Dio ha creato la suocera perché ha visto che l’uomo non soffre abbastanza o che, invece, per la donna già sofferente ha inventato contemporaneamente il suocero e la musica brasiliana (sempre più tristezza!).

È questo, dunque, il tenore delle battute decisamente banali che tempestano un’operazione oltretutto mirata a ricordare in maniera altrettanto banale che, come qualsiasi essere umano, ogni bambino, da grande, è costretto ad affrontare il capitalismo e l’agenzia delle entrate (sic!).
Un’operazione che, alla fine dei giochi, non sembra sapere dove andare a parare e che è di sicuro adatta a voi se avete almeno minimamente accennato un sorriso nel leggere il poco riportato in queste righe... mentre agli altri non rimane che sprofondare inevitabilmente nella noia.


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