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Dust
Presentato all'apertura del Festival di Venezia dello scorso anno, il nuovo film di Milcho Manchevski ha suscitato moltissime polemiche e pochissimi consensi. Un "errore di valutazione" come ha confessato il produttore Domenico Procacci, sebbene era difficile per chiunque immaginare quello che sarebbe accaduto nei Balcani proprio in quella caldissima fine agosto, né tanto meno prevedere le aspettative "politiche" che "Dust" ha poi creato. Ma come tentò di sottolineare in conferenza stampa il regista macedone, allora come oggi il film non ha mai voluto sollevare alcuna riflessione o inclinazione politica. Attraverso la sua narrazione fluttuante tra spazio e tempo di un racconto in un racconto, Manchevski ricrea con straordinario estro l'epopea di un Est selvaggio, la rivoluzione macedone dei primi del '900, che tanto somiglia a quella messicana e in cui uomini con grandi ideali di libertà, cavalcavano e uccidevano senza sosta. Un selvaggio Est che sembra il riflesso proprio di quel selvaggio West da dove partono i due eroi, Luke ed Elijah, fratelli in costante lotta tra loro e perdutamente innamorati della stessa donna, che finirà con lo sposare Elijah.
Nessun altro genere cinematografico riesce a creare immagini tanto forti e quasi mitologiche come il western, e gli eroi di Manchevski ripropongono gli archetipi di un genere "letterario" sempre attuale e in grado di non invecchiare mai. Muovendosi in un epoca storica in cui moderno e antico si mescolano naturalmente, i due fratelli diventano una specie di riassunto visivo di quelli che sono stati gli eroi del cinema del genere: moderni come lo fu il fantascientifico "Mad Max", coraggiosi come i cow boy di John Ford e ironici e crudeli come i pistoleri di Sergio Leone.
Un divertissement, insomma, che si definisce subito nei continui salti spazio-temporali dalla storia di Elijah e Luke, a quella della vecchia Angela che in una modernissima New York racconta al ladruncolo Hedge dell'amore e della morte dei due eroi del passato. Un narrazione libera e liberatoria in cui stravaganza e fantasia sono sottolineate dalla finale improvvisazione di Hedge che racconta l'epilogo di una storia che lui stesso non conosce. Perché la mitologia in fondo segue delle regole ben precise che neppure la fantasia e la modernità più sfrenate potranno mai modificare.
Valeria Chiari
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