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Awake – Anestesia cosciente
Il film "Awake", esordio alla regia per Joby Harold, è un thriller di ispirazione metafisica.
Clayton è un bel rampollo orfano di padre in attesa di ricevere un cuore nuovo. La madre del ragazzo vorrebbe affidare l’operazione al medico di famiglia, ma Clay insiste affinché sia il dottor Jack Harper, suo amico e intimo confidente, a dirigere l’intervento. Tutto sembra andare secondo regime, ma quando il ragazzo si trova sotto "i ferri" si accorge di non essere del tutto anestetizzato. Il suo corpo, infatti, continua a sentire dolore, senza potersi però muovere o chiamare aiuto. E’ la cosiddetta "anestesia cosciente".
Per resistere al dolore di un intervento a cuore aperto Clay si rifugia nei suoi ricordi, ma proprio lì scoprirà cose dolorose sulla sua vita...
Il presupposto è di quelli interessanti, la realizzazione è di quelle mediocri. Malgrado il cast: il "buono" Terrene Howard, lo "schianto" Jessica Alba, e il "jedi" Hayden Christensen, il film finisce per fallire il suo lancio. Commettere il fallo in area. Mandare a monte la partita.
Inizia lento, lentissimo, con trenta minuti di antefatto che "preparano il campo" ad una trama che in qualche modo (considerando il titolo) già ci si aspetta. Arriva quindi il momento dell’operazione, ma si ha la sensazione che quella che dovrebbe essere la scena madre, la più importante, ovvero il momento dell’incisione in difetto di anestesia, duri troppo poco. Si va oltre, allora, in quello che dovrebbe essere il giro di vite della trama, la sua svolta, e anche lì il colpo di scena viene "gestito" male da una regia troppo frettolosa, svelandolo senza concedergli il giusto respiro narrativo.
A favore di cosa tutta questa fretta? Difficile dirsi. Il tema del "ricordo" come tragitto da percorrere per scoprire peccati dimenticati o crimini elusi, non è nuovo al Cinema, ma in questo caso sfugge l’effettiva meccanica per cui un uomo sotto i ferri e a cuore aperto (!), invece di svenire, continui a rimanere cosciente e a pensare ai "fatti propri".
Insomma, ad una trama pretestuosa si unisce anche una improbabile realizzazione drammatica, e il film annega in un oceano pasticciato di domande.
Il presupposto era interessante, ma il "tiro" è andato corto. Troppa fretta nel concludere per l’esordiente Joby Harold che realizza una pellicola da vedere solo in "dvd", il sabato sera, con la pioggia e senza amici da chiamare.
La frase: "...Quanto ci mette a fare effetto?...".
Diego Altobelli
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