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Almost Dead

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato28 novembre 2017Voto: 6.5
 

  • Foto dal film Almost Dead
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Nell’immaginario collettivo è difficile di questi tempi pensare che un horror “italiano” possa colpire davvero il pubblico, e in diversi modi, ma il regista Giorgio Bruno è riuscito a realizzare un’opera di respiro internazionale ben collaudata in tutte le sue componenti: “Almost Dead”. La pellicola vede protagonista Hope (il nome si rivelerà adatto alla situazione in cui si troverà coinvolta), una donna che, dopo un grave incidente automobilistico, si ritrova da sola in un bosco. Non ha idea di cosa sia successo, la sua memoria è stata compromessa, ma ben presto si renderà conto di trovarsi di fronte ad un’apocalisse zombie, dove un antidoto potrebbe essere l’unica soluzione perché non diventi anche lei come gran parte della popolazione.

Giorgio Bruno dirige in modo egregio Aylin Prandi (Hope Walsh), protagonista indiscussa dello zombie-movie. Lo fa attraverso una varietà di inquadrature che mirano a creare una maggiore dose di suspense nel pubblico e a far emergere le emozioni provate da Hope nel corso della narrazione. Il film è caratterizzato da un ritmo narrativo incalzante, che permette di mantenere l’attenzione dello spettatore per tutta la sua durata. Questo, non solo grazie alle scelte stilistiche di Bruno, ma anche per la tensione (talvolta eclissata dalla banalità dei fatti) che quest’ultimo è stato in grado di creare. “Almost Dead” si avvale di una sceneggiatura minimale, che trova spazio quasi interamente solo attraverso un cellulare, quello di Hope. Quest’ultima riesce a mettersi in contatto con la sorella, anche sua collega di lavoro, la quale le spiega quanto accaduto, omettendo però alcuni particolari di estrema rilevanza. Perché è iniziata la rivolta? Cos’è e dove si trova l’antidoto? Tutte domande le cui risposte verranno date man mano che si prosegue con la narrazione. Al di là di ciò, però, “Almost Dead” presenta anche degli aspetti negativi: la presenza di stereotipi del genere horror, come il luogo isolato, l’epidemia che prende forma, l’aspetto degli zombie, un antidoto come ultima speranza nel momento in cui la protagonista rischia la vita. Tutti elementi che, a quanto pare, per i registi non dovrebbero mai mancare, e forse hanno ragione quando si parla di zombie-movie.

Non manca quindi la banalità nella pellicola di Giorgio Bruno, che si accompagna spesso ad una prevedibilità evidente. Eppure, nonostante ciò, il film riesce nell’intento di intrattenere il suo pubblico. Forse proprio perché presenta tutte le caratteristiche tipiche del thriller, anche se di horror ha ben poco. Non vi sono scene che portano un possibile spettatore a saltare sulla sedia e, quando sembrano esserci, la tensione viene smorzata dalla sua prevedibilità.
Certo, non sai sempre cosa potrebbe succedere di lì a poco, ma sai quando aspettarti qualcosa. Da elogiare è invece la fotografia nitida, composta di tonalità scure e fredde, che creano un’atmosfera decisamente cupa, come d’altronde vuole il genere di appartenenza. Il regista non ha voluto dare troppa importanza agli effetti speciali, ma la costruzione cinematografica degli zombie è di buon livello. È difficile intrattenere il pubblico quando la storia di svolge quasi del tutto in un unico ambiente, ricordando così il film “Buried - Sepolto”. Se in quest’ultima pellicola il protagonista è chiuso in una bara sotto terra con l’unica compagnia del cellulare, in “Almost Dead” la donna resta per tutto il tempo (o quasi) dentro un’auto per evitare di essere morsa da uno zombie. Ad entrambi, tra l’altro, aspetta un destino beffardo, che sarà rivelato solo nell’amaro finale. È quello che cerca di fare sin dall’inizio: evitare l’epidemia. Ma non sempre ciò che si vuole è possibile. Colpisce inoltre l’attenzione al dettaglio per quanto riguarda ambienti, personaggi e dialoghi.
Non spicca invece per la sua bravura Aylin Prandi, molto espressiva nei momenti intensi, ma poco credibile nelle scene in cui il dialogo la fa da padrone. Infine, il tema su cui poggia l’intero lungometraggio di Bruno è il classismo che caratterizza la società odierna, dove solo i benestanti meriterebbero l’antidoto per salvarsi, mentre tutti gli altri sarebbero destinati a morire.


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