Wuthering Heights
Era il 1847 quando fu pubblicato per la prima volta il romanzo "Cime tempestose" di Emily Brontë (Thornton, 1818 – Haworth, 1848) sotto lo pseudonimo di Ellis Bell, da allora la storia è diventata universale e così come è accaduto per "Romeo e Giulietta" di William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 1564 –1616) anche questo romanzo nel tempo ha subito diversi adattamenti per il teatro e per il cinema, fra i tanti ecco che Andrea Arnold già regista di "Red Road" e "Fish Tank" propone la sua versione al Festival di Venezia. E’ una rilettura particolare che accentua l’elemento violento e drammatico della vicenda a discapito dello spirito vittoriano e forse più delicato del testo letterario. E’ una rilettura decisamente realistica epurata da tutti gli aspetti soprannaturali descritti nel libro che concentra la sua attenzione sugli anni giovanili dei due amanti Heathcliff e Catherine e ne cattura la storia, eliminando quindi la voce del narratore esterno. Il realismo e l’interesse per i dettagli e i particolari però si mischiano a toni a volte contemplativi, a silenzi che fanno intuire la nascita e lo sviluppo del rapporto d’amore fra i due ragazzi, ma ponendo l’accento sull’aspetto più erotico della vicenda legandolo alla natura che li circonda. L’eterna vicenda d’amore tra Heatchliff e Catherine trova concretezza e realismo nella vita di campagna composta da tanti piccoli particolari affastellati fra loro, dai capretti sgozzati ai cani che giocano liberi nella brughiera, dalle lepri catturate e poi uccise alle falene agli infissi delle finestre, dagli insetti al vento, che incessante fischia sulle ruvide e brulle pietre spaziando poi per la brughiera.
I dialoghi sono estremamente sintetici, sono gli sguardi a parlare, ma soprattutto la natura incontaminata che nasconde dentro di sé milioni di vite. Stilisticamente pregevole è appesantita dai ritmi eccessivamente lenti e da salti temporali che dimenticano alcuni aspetti più coinvolgenti della storia d’amore dei due protagonisti trasformando la forza travolgente del loro amore in un sussurro disperato e difficilmente avvertibile. Certamente bellissima la ricostruzione scenografica del film e la scelta dei suggestivi paesaggi scozzesi che ricordano da vicino l’opera "Jane Eyre" di Franco Zeffirelli del 1995, tuttavia l’atmosfera è molto più rude e brutale, perché alla regista preme sottolineare la brutalità della società nei confronti del diverso. Già, perché qui il famoso Heathcliff è un ragazzo nero, immettendo quindi all’interno della storia il tema del razzismo, della gelosia, dell’odio per il diverso. Bravi gli interpreti a partire da James Howson che impersona Andrea Arnold e Kaya Scodelario che è la bella Catherine, che con un gioco di sguardi mostrano il tormento amoroso. La scelta di Howson è dovuta, come ha spiegato Arnold, al fatto che: "Volevo rendere ancora più visibile la sua diversità [...] Se si legge il romanzo con attenzione si vede con chiarezza, in ogni descrizione dell'eroe, che non aveva la pelle bianca. Proprio così: assolutamente non era bianco".
La frase:
"Ovunque viva l’anima sento di avere torto".
a cura di Federica Di Bartolo
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