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Witness: Libya

Senza alcun dubbio, l’elemento che più incuriosisce di questo primo documentario facente parte di una serie di quattro destinati alla HBO, è la presenza, in qualità di produttore esecutivo, di Michael Mann, acclamato regista di "Heat - La sfida" (1995) e "Collateral" (2004).
Diretto da Abdallah Omeish, segue una nuova generazione di giovani fotografi nelle zone di conflitto in Libia (gli altri tasselli, invece, si svolgono in Messico, Brasile e Sud Sudan), dove uno di loro, l’americano Michael Christopher Brown, torna dopo aver subito un attacco di mortaio che lo ferito lui e ha ucciso due colleghi; scoprendo che l’euforia per la morte del leader Muammar Gheddafi, il quale, nel corso di quarant’anni, non fece altro che creare divisioni tribali, ha finito soltanto per generare altri conflitti.
E, attraverso, appunto, un occhio occidentale, è mettendo in evidenza i rapporti dei fotografi con le persone del posto e la vicinanza diretta alla battaglia che Omeish racconta dall’interno un paese condannato a vivere con il desiderio di libertà di acquisire una propria identità di popolo.
Perché, come viene spiegato nel corso dei circa cinquantasette minuti di visione, si può fotografare la guerra, ma ciò che succede sul campo è tutta un’altra cosa.
Quindi, da un lato, tramite le dichiarazioni di psicologi, giornalisti e altre figure, apprendiamo che, dopo i decenni trascorsi sotto Gheddafi, tutti vogliono essere al di sopra della legge, dall’altro la camera provvede a immergere lo spettatore nell’intensità di una situazione in via di sviluppo.
Una situazione che, derivata dal lunghissimo periodo di ferite, incomprensioni e misteri, spinge i libici a sperare che i figli possano recuperare il tempo perduto in quei quarantadue anni che hanno visto il sistema diventare antagonista alla società e, allo stesso tempo, la società diventare antagonista al sistema.
Con il veloce montaggio di Mako Kamitsuna a garantire l’efficacia dell’insieme; al quale, considerata la sua brevità, qualche minuto in più non avrebbe affatto guastato.

La frase:
"Benvenuti in Libia, il paese più assurdo del mondo".

a cura di Francesco Lomuscio

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