Willard il paranoico
Poi i distributori cinematografici si lamentano se gli spettatori non vanno al cinema a vedere i loro film. Quanti di voi sarebbero disposti a spendere i propri euri per un lungometraggio intitolato Willard il paranoico? Dietro quell'ignobile e fuorviante titolo italiano si nasconde in realtà un grande film, Willard, rifacimento dell'omonimo cult-movie (dalle nostre parti circolò come Willard e i topi) diretto nel 1971 da Daniel Mann e tratto da un racconto di Gilbert Ralston, che ebbe anche un sequel firmato da Phil Karlson, Ben (anche conosciuto come L'ultima carica di Ben), dell'anno successivo, la cui canzone, interpretata da un giovane Michael Jackson, venne perfino candidata all'Oscar. E quello stesso motivo, ad oltre trent'anni di distanza, torna a fare da commento alle macabre gesta del bizzarro Willard Stiles, sorta di moderno pifferaio di Hamelin, giovane impiegato che ha ammaestrato un vero e proprio esercito di ratti da sfruttare per attuare una serie di vendette ai danni dell'odioso principale, il Signor Martin.
Dietro la macchina da presa che segue le raccapriccianti imprese del branco di ratti capitanato dal bianco Socrate e dal nero Ben, troviamo Glen Morgan, proveniente dalla serie televisiva X-files, mentre Crispin Glover, che molti ricorderanno per essere stato il George McFly di Ritorno al futuro, ricopre il ruolo che fu di Bruce Davison (quest'ultimo appare in fotografia, nei panni del padre del protagonista), incarnando ottimamente la figura dell'emarginato Willard, il quale, per esorcizzare la solitudine, instaura un vero e proprio rapporto d'intensa amicizia con i roditori, tanto da riuscire a comunicare verbalmente con loro. Un rapporto descritto dal regista, che si avvale anche di ottimi effetti digitali, in maniera talmente minuziosa che è impossibile non notare nel corso della visione una certa venatura di poesia, dovuta all'emersione dei sentimenti. E R. Lee Ermey (Full metal jacket) e Laura Harring (Mulholland drive) completano il cast di questo godibilissimo horror, se proprio così vogliamo definirlo, che, tra ossessivo squittio ed invecchiate atmosfere da pellicola Anni Settanta, cela una certa metafora sull' eccessivo sfruttamento del potere che si ha a disposizione, con tanto di negative ripercussioni, conferendo a Willard le caratteristiche di un qualsiasi padrone che usa le sue pedine per ottenere i suoi scopi, trovandosele poi irrimediabilmente contro quando decide di sbarazzarsene.
Da non perdere, se riuscite a chiudere un occhio sul pessimo doppiaggio italiano.

La frase: "Rosicchiate, rosicchiate!"

Francesco Lomuscio

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