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Wall Street: Il denaro non dorme mai
Un accendino, delle carte, un fermasoldi d’oro, un fazzoletto di seta, un anello e un cellulare d’antan. Stropicciato, con lo sguardo cinico e stanco, Gordon Gekko ritira i suoi averi ed esce di prigione, nel 2001, dopo aver scontato otto anni per truffe finanziarie. Nessuno lo attende: la limousine parcheggiata fuori, verso cui, per abitudine, si incammina, è per un rapper. Ma Gekko è un uomo dalle sette vite. Nel 2008 lo ritroviamo che ha scritto un libro “L’avidità è buona?”, frutto delle sue riflessioni sullo stato della finanza mondiale: la catastrofe, profetizza, è dietro l’angolo. Vivacchia ai margini di quello che era il suo regno, Wall Street, con conferenze nelle università.
È in una di queste occasioni che viene avvicinato da un giovane broker di belle speranze, Jacob ‘Jake’ Moore, alla ricerca di un mentore dopo che il suo guru, Lewis Zabel, si è suicidato per le pressioni e speculazioni di un suo rivale, Bretton James. Si dà il caso che Jake sia anche il fidanzato della figlia di Gekko, Winnie, che ha troncato del tutto i rapporti col padre corrotto e da lei incolpato della morte del fratello. Gordon e Jake stringono un patto: malgrado e nonostante Winnie. Gekko sarà la guida di Jake per proseguire sulla strada indicata da Zabel, Jake tenterà il riavvicinamento padre/figlia.
Sono ancora più cattivi i tempi oggi, più cattivi di quelli che Gordon Gekko aveva rappresentato sullo schermo nel 1987: se allora dominava lo yuppismo e i singoli erano i corrotti e corruttori, ora, ci dice Stone, sono le intere istituzioni, le banche, le società, che operano impunemente, alla luce del sole. L’illegalità è legge, ormai. Anche se poi il risultato, a parte la morale, è identico: il ricco pasce, il povero tira la cinghia. Così anche Gordon Gekko, che ai tempi era parso il non plus ultra della doppiezza, di fronte agli elementi che circolano oggi, rappresentati da uno squalo come Bretton James, pare aver perso molte delle sue piume. Certo non la verve e il desiderio di riscatto: Michael Douglas riesce a infondergli lo stesso physique du rôle, gli occhi sornioni, lo stropicciamento degli anni che non ne sottrae il fascino. Di fronte a lui Shia La Beouf pare di un’inespressività allarmante. Oliver Stone con Wall Street: il denaro non dorme mai, non intende offrire un sequel, come precisa, ma un approfondimento, offertogli su un piatto d’argento dalla crisi finanziaria del 2008. Solo che l’operazione riesce a metà, fagocitata dalla ridondanza del regista e da un’ambiguità di fondo che ha spesso contraddistinto i suoi lavori: come se volesse accontentare tutti, cavalcando la facile visione di un mondo nettamente diviso in bianco e nero, buono e cattivo, senza nuance. Senza contare il piglio di Stone che è sempre pedagogico ma in senso elementare, chiarificare alle masse un mondo banalizzandolo, riducendolo a minimi termini. Non c’è vera cattiveria nel film, piuttosto un messaggio rassicurante di famiglie che si ritrovano, di un rifugiarsi pavido nel privato. Oliver Stone vola davvero troppo basso.
La frase: "Qualcuno mi ha ricordato che una volta ho detto che l’avidità era una cosa buona. Ora sembra diventata legge.".
Donata Ferrario
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