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Un Lac
Isolamento, incomunicabilità, e il visitatore visto come intruso, estraneo: sono queste le tematiche più ricorrenti nei film presenti alla 65esima Mostra del Cinema di Venezia, e anche il francese "Un lac" del regista Philippe Grandrieux non fa eccezione il tal senso.
La pellicola, presente in concorso nella sezione Orizzonti, è un film di sentimenti, più che una vera e propria storia. Il giovane Alexi vive in una casa isolata sulle montagne innevate con la madre cieca, il piccolo fratellino e la sorella, per la quale ha un morboso affetto che quasi sconfina in incesto. Del padre non ci è dato sapere. Le giornate di Alexi scorrono via tutte uguali, tra il suo lavoro di taglialegna e le poche parole scambiate in famiglia, i pochi momenti di felicità sono quelli trascorsi insieme alla sorella.
La quotidianità di Alexi viene turbata dagli attacchi sempre più frequenti della sua malattia, l’epilessia, che lo lasciano stremato ed ancora più isolato e lo spingono sempre più verso la sorella, a cercare in lei un pò di conforto. Un giorno, improvvisamente, arriva un giovane e affascinante taglialegna a dare una mano nel lavoro nei boschi: la vita del protagonista verrà sconvolta da questo arrivo, anche perché lo porta a perdere l’affetto e la presenza dell’amata sorella.
La storia è semplice, e il film infatti più che raccontare una storia descrive, con scelte registiche originali e spesso discutibili, i sentimenti e le emozioni che tale storia suscita con il suo evolvere nei protagonisti.
E’ una storia in soggettiva, tutta incentrata in prima persona su Alexi, e l’originale scelta del regista è di sottolineare questo anche con la sua regia. Le riprese infatti sono state fatte tutte con una camera a mano, e seguono lo stato d’animo del protagonista. Quando il protagonista è in preda alle sue crisi la camera, e quindi l’immagine, tremano con lui, non stanno mai ferme, ondeggiano di continuo, mentre quando Alexi ha i sensi turbati dalla vicinanza della sorella la camera ci mostra la sua visione distorta del mondo tramite una messa a fuoco mai perfetta. L’originalità e la sperimentazione del regista continua anche nel mostrarci sempre i dettagli della scena, è difficile avere davanti un’inquadratura tradizionale, Grandrieux si sofferma sui dettagli dei protagonisti delle azioni, che siano un occhio di chi guarda, la bocca di chi parla o la mano di chi accarezza.
Come già detto, la storia è semplice ma inserita in un vero e proprio contesto onirico, è difficile spesso capire il perché di quello che vediamo e i pochi ed essenziali dialoghi non aiutano sicuramente, occorre un continuo sforzo dell’immaginazione. E’ difficile anche seguire visivamente la pellicola, nella prima mezz’ora il movimento continuo e violento della camera e la mancata messa a fuoco generano un percorso emozionale, cosi come voluto dal regista, ma mettono a dura prova lo spettatore.
Ottima prova del protagonista quasi esordiente Dmitry Kubasov nel ruolo di Alexi (qui è al suo secondo film), mentre non riuscita a pieno la sperimentazione del regista Philippe Grandrieux.
La frase: "Sei mia sorella...".
Giuliana Steri
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