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Una notte agli studios











Il titolo richiama inevitabilmente alla memoria quello di "Una notte al museo" (2006) di Shawn Levy, ma, a partire dalla esilarante didascalia di apertura "Tratto da una storia non vera", è chiaro che, a differenza della fanta-vicenda interpretata da Ben Stiller, il lungometraggio diretto in tre dimensioni da Claudio Insegno – dopo il pessimo esordio "Alta infedeltà" (2010) – tenda a puntare maggiormente alla parodia.
E’, infatti, lo stesso Insegno a vestire i panni di una comparsa disoccupata che, in cerca di lavoro insieme al collega Enrico Silvestrin e affiancato anche dalla giornalista Giorgia Wurth, s’imbatte in un deposito di vecchi oggetti di scena, tra gli studios di Cinecittà, dove un anziano Marco Messeri mette tutti e tre al corrente del fatto che sono i prescelti per trovare i quattro elementi utili a salvare dalla distruzione il posto, che il produttore americano Daniel McVicar intende sostituire con un parco a tema.
Quattro elementi da ricercare nel corso di un assurdo viaggio all’interno dei diversi generi cinematografici, a partire da una antica Roma che vede coinvolta, tra gli altri, la brassiana Francesca Nunzi, prima di passare a un poliziottesco degli anni Settanta.
Fino a sfociare in un decamerotico con Sandra Milo tra i personaggi; ma solo dopo un’escursione nell’horror che, oltre a Pino Insegno – fratello del regista – nei panni di un grottesco esorcista, include Eva Robin’s in quelli di una vampira.
Tutti al servizio, come pure un malvagio Luca Ward, di un insieme che, penalizzato da una rozza messa in scena eccessivamente televisiva e da un 3D penoso, sfoggia addirittura inquadrature sfocate; pur riuscendo nell’impresa di strappare qualche risata allo spettatore (per citarne una, non male la battuta riguardante le fermate della metropolitana romana) e di risultare più godibile rispetto a operazioni analoghe (e più costose) come "Box office 3D - Il film dei film" (2011) di Ezio Greggio.
Tanto che, sebbene rimaniamo comunque sulla mediocrità, forse a causa di un certo ritrovato retrogusto anni Ottanta (la spassosa capra che parla in toscano spinge a pensare agli animali dotati di parola in "Uno sceriffo extraterrestre poco extra e molto terrestre"), forse perché la comicità proto-Premiata ditta, a tratti, non dispiace neppure sul grande schermo, qualcosa ci lascia pensare che siamo dinanzi a uno di quei trashissimi titoli destinati a trasformarsi, prima o poi, in veri e propri stracult.
Con un’ultima scena posta dopo i titoli di coda.

La frase:
"Il futuro del cinema è nelle vostre mani".

a cura di Francesco Lomuscio

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