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Tutto parla di te









La regista Alina Marazzi torna al cinema presentando alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma: "Tutto parla di te", un’opera che studia, registra ed osserva il tema della depressione post partum e del conflitto che si crea fra una madre e il proprio figlio. Un tema complesso e difficile, di cui i media parlano poco se non a causa di qualche drammatico atto di cronaca, qui è trattato con delicatezza, ma al tempo stesso utilizzando gli stilemi tipici del documentario inframezzandoli con metafore e simbolismi.
Non sempre la maternità implica un momento di gioia, molto spesso le donne sono disorientate, si sentono sole e non sono pronte ad affrontare il cambiamento di vita che comporta la presenza di un neonato, bisognoso di cure. Con occhio scevro e sincero vengono raccontate le fasi e i sintomi di questo disturbo dell’umore che colpisce quasi il 20% delle donne nelle prime settimane dopo il parto.
Il documentario, la ricerca e l’analisi sono mascherate e inframezzate qua e là durante il lungometraggio e fanno da supporto alla storia di Pauline che torna a Torino dopo aver vissuto per tanti anni all’estero. Ritorna nella vecchia casa di famiglia piena di ricordi dolorosi e di oggetti che evocano momenti difficili e nel frattempo svolge una ricerca su questo disturbo. Va a trovare la sua vecchia amica Angela che dirige un centro assistenza per la maternità che la mette in contatto con diverse neo-mamme che sembrano avere un difficile rapporto con il loro bambino, e fra tutte Emma, una giovane ballerina, sembra protendere verso l’autodistruzione. Emma in particolare è soffocata dalle responsabilità di essere madre, dai sensi di colpa per non riuscire ad amare il figlio come vorrebbe e dal fatto che è stata costretta a lasciare il corpo di ballo a causa della gravidanza. Notando lo stato di "frustrazione" della ragazza, Pauline decide di aiutarla e tenta di diventare una sorta di punto fermo nella vita di Emma, quasi un "confessore" capace di ascoltare, senza giudicare e proprio grazie a questo ruolo la stessa Pauline riuscirà a fare i conti con il proprio passato e la propria infanzia.
Attraverso una regia frammentaria costruita da narrazione, interviste e filmati in bianco e nero si sviluppa l’analisi che tenta di sensibilizzare lo spettatore a questa tematica così poco conosciuta, ma al tempo stesso cerca di coinvolgere emotivamente lo spettatore affrontando tutto con una visione oggettiva, originale che a volte acquista delle sfumature oniriche. “Tutto parla di te” è un mix di diversi generi poiché per alcuni aspetti sembra riprendere a piene mani dalle fiction e dalle tragedie, ma ha in sé diversi piani di lettura costituiti sia dai filmati in bianco e nero sia dalle interviste. Tutto viene mescolato con arte riuscendo ad incastrare e fondere insieme materiali decisamente eterogenei, ma non vi sono stacchi, ne zone d’ombra, solo sfumature di incertezza e disagio, di speranza e di luce.

La frase:
"Forse non ero nata per essere mamma, forse ero nata per essere figlia per cui ho cercato qualcuno che mi aiutasse a capire se fossi adatta a questo privilegio".

a cura di Federica Di Bartolo

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