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TheyLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Leonardo Mezzelani12 maggio 2018Voto: 6.5
Nell’ambito degli studi di genere, si è diffusa l’idea che l’identità sessuale sia scomponibile in tre: sesso, genere ed orientamento. Il primo ci è dato alla nascita, su basi anatomiche; il genere è una costruzione sociale, attraverso la ripetizione quotidiana di azioni più o meno coscienti il soggetto è portato a sentirsi maschio o femmina. L’orientamento, invece, è il sesso (o tipo di persona) da cui un soggetto è attratto. Tutto molto semplice, forse troppo, non a caso questa tripartizione è spesso stata attaccata per la sua rigidità, non adatta a descrivere la fluidità della società.
Il discorso appena affrontato in poche righe potrebbe risultare, ai più esperti, estremamente sbrigativo (e sicuramente lo è), eppure era fondamentale scrivere questa premessa che Anahita Ghazvinizadeh, giovane regista iraniana, alla sua opera prima con “They”, sembra condividere apertamente. Il film racconta la storia di J, un quattordicenne della periferia di Chicago in lotta per trovare la propria identità. Il ragazzino, che vorrebbe essere chiamato “Loro” (“They” in lingua inglese), decide di mettere in stand by, attraverso una terapia medica, il proprio sviluppo. Il motivo? Prendersi del tempo per riuscire a capire a quale sesso sente di appartenere e, di rimando, se effettuare o meno “la transizione”. Con un materiale di partenza del genere, il rischio di cadere nel calderone dell’ampia produzione LGBT a tema “transgender” era alto, altissimo. Con il suo “They”, però, la giovane regista iraniana dimostra di non peccare certo in banalità: il tema della scelta viene intelligentemente declinato, esteso a tutto il mondo del film. Dalla sorella che deve decidere se accettare o meno di partecipare ad un campus di recitazione, a un mal di denti del fidanzato iraniano da sopportare fino al rientro in patria, passando per una madre che deve vegliare su una zia con disturbi psichici prima di rientrare in casa; tutto è sospeso. L’unico personaggio che sembra vivere l’attesa con serenità è proprio il/la piccolo/a J. Che si tratti di raccontare le proprie esperienze sentimentali durante una passeggiata nel bosco con la sorella, o di rispondere a domande scomode dettate dalla curiosità di chi lo circonda, poco importa, nelle sue parole non c’è la minima richiesta di pietismo. Sembra sempre che sia chi gli giri intorno (e dovrebbe accudirlo) ad aver bisogno di trarre forza da J, di spiarlo attraverso un spioncino sulla parete di hitchcockiana memoria quasi in cerca di ispirazione. In questo microcosmo dell’attesa veniamo guidati da una regia molto elegante e ricercata, forse troppo. Soprattutto nella parte iniziale del film, infatti, la Ghazvinizadeh sembra voler sorprendere costantemente lo spettatore con elaborate inquadrature e piani sequenza, che rischiano di appesantire inutilmente una storia così delicata. Se, come già detto, la voglia di estendere un tema così preciso a un discorso globale è sicuramente da catalogarsi sotto i pregi, di contro non si può non notare come forse proprio questa scelta a volte sembra far smarrire la rotta al film, tra le molte sotto-trame aperte si va perdendo un po’ di mordente. Quale che sia la scelta finale dell’adolescente diventa totalmente irrilevante, così come quelle degli altri personaggi, il film sembra quasi sussurrarci che a volte perdersi non è per nulla spaventoso, anzi, potrebbe essere fondamentale. Come quando cerchiamo di sforzarci nel vano tentativo di ricordare il verso di una poesia che sappiamo di conoscere, più forziamo la mente più restiamo bloccati. Forse l’unica cosa da fare a quel punto è accettare il vuoto, allora, come per magia, tutto potrebbe tornare chiaro. “They” resta in ogni caso un film prezioso, un buonissimo debutto per una giovane regista che, con i suoi limiti, riesce a raccontare l’intimità della sua autrice e questo è, oltre che raro, sempre un grande pregio. La frase dal film:
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