The Visit
Figurando in qualità di produttore – insieme allo stesso regista M. Night Shyamalan – il medesimo Jason Blum che ha finanziato l’intera saga “Paranormal activity”, non c’è davvero bisogno di meravigliarsi se la vicenda qui raccontata apre all’insegna delle riprese a mano tipiche del found footage, filone che, oltretutto, ha segnato il successo di "The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair" (1999) di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez.
Non c’è da meravigliarsi perché è proprio nel sottogenere in questione che rientrano buona parte dei titoli appartenenti alla filmografia blumiana, che, quando rappresentata da altre tipologie di spettacolo horror su celluloide, tende a privilegiare ghost story e racconti di possessioni diaboliche come nei casi di "Sinister" (2012) e "Insidious" (2010).
E non sembra fare eccezione neppure qui il resoconto in pov della vacanza di una settimana che i giovanissimi fratelli Becca e Tyler – interpretati da Olivia DeJonge ed Ed Oxenbould – trascorrono in Pennsylvania presso la fattoria dei nonni Nana e Pop Pop, ovvero la televisiva Deanna Dunagan e il Peter McRobbie dello spielberghiano "Il ponte delle spie" (2015).
Perché, lasciati dalla mamma alias Kathryn Hahn, i due, perennemente "armati" di videocamera, non tardano ad avvertire comportamenti distanti dalla normalità sfoggiati dalla coppia di anziani; man mano che – proprio in maniera simile ai vari tasselli del sopra citato franchise avviato da Oren Peli – il tempo viene scandito dallo scorrere dei giorni.
Quindi, mentre l’uomo non esita a maneggiare in maniera molto poco sicura un fucile, la donna si cimenta in un inquietante gioco del nascondino; lasciando facilmente immaginare che qualche presenza maligna abbia provveduto ad intrufolarsi nei loro corpi.
Ma, trovandosi dietro la macchina da presa colui che ci ha regalato, tra gli altri, "The sixth sense – Il sesto senso" (1999) e "The village" (2004), come avvenuto in buona parte dei suoi lavori è soltanto in seguito al twist ending che è possibile per lo spettatore apprendere le motivazioni di ciò che effettivamente sta avvenendo con l’avanzare dei fotogrammi.
Twist ending che, in questo caso, manifesta quasi il sapore di una variante di quanto fu alla base del plot del poco conosciuto "Clownhouse" (1989) di Victor Salva, pur apparendo a suo modo sorprendente – nonostante la sua non troppa originalità – e in grado di spiazzare nella giusta maniera grazie a una rivelazione diversa dal solito e alla capacità da parte del cineasta di origini indiane di inscenare il tutto senza dimenticare l’indispensabile venatura di follia.
Aspetto, quest’ultimo, che aveva avuto modo di lasciar emergere soprattutto all’interno del sottovalutato "E venne il giorno" (2008), ma che, stavolta, non risulta sufficiente a spingere nella visione di oltre un’ora e mezza di narrazione per immagini in movimento la cui lunghissima attesa nei confronti dell’epilogo non fa altro che riempirsi noiosamente di porte sbattute e abbastanza prevedibili spaventi improvvisi.
La frase:
"Fantastico, nostro nonno è schizofrenico e la nonna diventa Michael Myers al calare del sole".
a cura di Francesco Lomuscio
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