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The One all Alone
Prima dei titoli di testa ascoltiamo dichiarazioni dei musicisti John Cage, Morton Feldman, Elliott Carter e Riccardo Chailly.
Ma, al di là d’interventi di nomi come Pierre Boulez, è soprattutto tramite le parole di Chou Wen Chung che il regista Frank Scheffer compie una spedizione esplorativa nella vita e nelle opere del compositore franco-americano Edgard Varèse, scomparso nel 1965 e noto per essere stato il primo a cercare il modo di assestare altri suoni diversi dalle già definite altezze tonali.
Un artista che la gente credeva scienziato pazzo perché interessato esclusivamente a coniugare la musica alle scienze, che probabilmente non avrebbe mai studiato se non fosse stato per il tanto odiato padre.
Un artista influenzato dal rumore del treno che passava dietro l’abitazione del nonno, che amava molto, e la cui musica, volta a valorizzare più il suono che altro materiale sonoro, nelle sue convinzioni doveva scorrere come un fiume.
Un artista consapevole del fatto che ogni strumento possiede un suo carattere e continuamente immerso in un universo fatto d’immagini e musica, il quale arrivò perfino a recuperare la leggenda messicana del Popol Vuh; mentre lasciava tranquillamente intuire una certa influenza sia da parte di Debussy, per la sensualità e per una musica breve in cui non c’è niente di superfluo, che di Busoni, per la logica, il ritmo, la struttura e le visioni future.
Un artista che intendeva sistematizzare suoni di ogni tipo in una struttura, cercando un modo per organizzare le consonanze secondo i loro modelli storici fino a regalare musica di un ordine nuovo consistente di materia viva, non di forme astratte.
Tutto questo è ciò che viene raccontato in "The one all alone", il quale non dimentica neanche di ricordare il periodo di Aaron Copland, la cui diversa concezione di musica arrivò a porre un po’ in disparte Varèse.
Anche se il risultato finale, tutt’altro che distante da certi documentari trasmessi nei pomeriggi delle emittenti regionali meno guardate, appare consigliabile esclusivamente ai seguaci irriducibili del musicista; come lo stesso regista, che ne subì il fascino quando era ancora giovane.
La frase: "Era un visionario, non c’è dubbio".
Francesco Lomuscio
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