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In ascolto - The Listening
L'enfant terrible di Hollywood, Quentin Tarantino, lo ha giudicato come il miglior attore vivente, tanto da volerlo nei suoi due capitoli di Kill Bill, nei panni di due ben distinti personaggi: lo sceriffo Earl McGraw e Esteban Vihaio, un protettore messicano. Stiamo parlando di Michael Parks, interprete di oltre un centinaio di titoli, tra classici (La Bibbia), b - movies (Nightmare beach - La spiaggia del terrore) e prodotti televisivi (I segreti di Twin Peaks), che torna ora sul grande schermo nei panni di James Wagley, ufficiale della National Security Agency (NSA), la quale ha sviluppato un sistema d'intercettazione globale delle telecomunicazioni battezzato Echelon. Wagley è infatti il protagonista del thriller "In ascolto - The listening", primo lungometraggio diretto da Giacomo Martelli, in precedenza autore dello short "Dov'è buio" (2002), nel quale diserta la sua postazione e fugge in Italia, dove, affiancato da una guida alpina e dal vecchio compagno d'armi Gianni Longardo, interpretato da Andrea Tidona (I cento passi), trae in salvo la giovane Francesca Savelli. Ingiustamente sospettata di spionaggio industriale, quest'ultima, ha le fattezze di una Maya Sansa da dimenticare, ulteriormente penalizzata dal pessimo doppiaggio, che si ritrova rifugiata con i tre sul Monte Bianco, a 3500 metri di quota, all'interno di una stazione d'ascolto clandestina, dalla quale Wagley utilizza i sistemi dell'NSA per raccogliere prove contro l'azienda privata americana Wendell - Cranshaw Technologies, che ha abusato di Echelon. Gli stessi sistemi a cui ricorre anche Anthony Ashe, che ha curiosamente il volto di James Parks (Dal tramonto all'alba 2), figlio di Michael, giovane rappresentante dell'azienda, ostracizzato dall'NSA, il quale cerca in ogni modo di rintracciare il quartetto per poter chiudere la vendita del suo nuovo, aberrante sistema d'intercettazione.
Ed il risultato finale è un elaborato di circa 105 minuti in cui la tensione viene sapientemente costruita attraverso una lenta narrazione basata soprattutto sui dialoghi, tanto che la sola post - produzione, durata un anno e mezzo, se da un lato ha visto la milanese EDI Effetti Digitali Italiani lavorare su oltre quattrocento inquadrature per potenziarne la carica visiva, dall'altro ha tenuto impegnate le londinesi Reel Sound e Anvil Post nella costruzione di un sofisticato impianto sonoro. Martelli, quindi, che sembra trovare anche il tempo, nella corsa all'epilogo, di omaggiare "Shining" (1980) di Stanley Kubrick, sfrutta al meglio il non elevatissimo budget e, seguendo probabilmente la lezione dell'indimenticabile Sergio Leone, privilegia i campi stretti d'inquadratura, i quali, uniti anche alla grande presenza di sequenze ambientate in interni, finiscono per conferire un efficace senso di claustrofobia. Poco importa, allora, se l'ironia che occasionalmente entra in scena tenda spesso ad assumere i connotati di comicità involontaria, in quanto il suo esordio nel lungometraggio si presenta come un prodotto che testimonia ancora una volta il desiderio e la capacità da parte del cinema italiano e di chi vi opera di orientarsi verso forme di spettacolo su celluloide finalmente diverse dalle commedie e dagli innumerevoli spaccati politico - sociali, pur apparendo senza infamia, senza lode e, soprattutto, senza grosse sorprese.
La frase: "Nessuna vita al mondo vale 400 milioni di dollari".
Mirko Lomuscio
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