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La luce sugli oceani

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Rosanna Donato31 agosto 2016Voto: 7.5
 

  • Foto dal film La luce sugli oceani
  • Foto dal film La luce sugli oceani
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“The Light Between Oceans” di Derek Cianfrance è film drammatico presentato in concorso alla 73. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e con protagonisti Michael Fassbender, Alicia Vikander e Rachel Weisz. Il film racconta la storia di una coppia a dir poco innamorata che vive all’interno di un faro, di cui Tom è il guardiano. Quest’ultimo è un soldato americano che poco tempo addietro aveva combattuto la Prima Guerra Mondiale contro la Triplice Alleanza. La moglie Isabel, incontrata per caso di ritorno dalla sanguinosa ‘battaglia’, decide di andare ad abitare con lui. Dopo diversi tentativi di crearsi una vera e propria famiglia, i due hanno la possibilità di diventare finalmente genitori: sulla riva dell’isola approda una piccola barca con dentro un uomo, deceduto a causa delle intemperie (o almeno si suppone) e una bimba di pochi mesi ancora in vita. I due protagonisti decidono di tenere la piccola, facendo credere a tutti che sia loro figlia e accudendola come tale, ma la situazione gli sfuggirà di mano in più di un’occasione.

Derek Cianfrance, regista e sceneggiatore di “Blue Valentine” e “Come un tuono”, ha dato vita a un’opera complessa sia dal punto di vista emotivo sia tecnico, anche se alcune scelte di regia sono alquanto discutibili. Inizialmente, infatti, la storia ha un andamento troppo veloce e frammentario, che rende la pellicola difficile da seguire, soprattutto per chi è abituato alle storie pulite, che hanno dei tempi ben impostati, chiari e che non passino dall’incontro al matrimonio, fino ad arrivare a provare ad avere un figlio nell’arco di un quarto d’ora al massimo.
A dirla tutta, la parte iniziale - seppur ricca di sfumature e di spunti di riflessione (come del resto avviene per tutta la durata del film) - potrebbe risultare noiosa agli occhi di chi guarda perchè i lunghi silenzi la fanno da padrone. In verità in ogni singola scena emerge il lato introspettivo di tutte le figure presenti, come se il regista puntasse in tutto e per tutto sulla profondità e l’intensità di musiche, sguardi e gesti. Un aspetto che ormai, purtroppo, nei film di oggi non sorprende più di tanto.
A colpire sono invece i primi piani, spesso utilizzati nei momenti più forti, dolorosi, ma anche gioiosi, che segnano le loro vite. Questo espediente è interessante in quanto sottolinea la volontà di Cianfrance di avvicinare il pubblico al dramma, di farlo proprio e ci sentiamo di affermare che riesce bene nel suo intento.

E’ difficile non provare empatia nei confronti dei due protagonisti: non tanto perché certe disgrazie possono capitare a chiunque, ma soprattutto in quanto - dopo tutto quello che hanno passato in più di due ore di film - viene da chiedersi se riusciranno a raggiungere quella che ormai per loro sembra diventata un’utopia: la felicità.
Inoltre, ogni situazione che si presenta, anche quella che sembra essere più insignificante, nasconde ben altro e assume un ruolo importante, a volte decisivo, nel corso della vicenda. Dopo i primi minuti di proiezione, la pellicola si veste di un ritmo più lento, che viene mantenuto per tutto il tempo, ma che non porta lo spettatore ad annoiarsi. Questo perché man mano che la storia prende vita si presentano situazioni sempre più imprevedibili, che portano il pubblico a voler andare avanti, a voler sapere a tutti i costi come finirà la tormentata vita di Tom (Fassbender) e Isabel (Vikander), ma anche della piccola Lucy, ormai cresciuta.
Tutti e tre gli attori principali - Michael Fassbender, Alicia Vikander e Rachel Weisz (la vera madre della piccola Lucy) - hanno interpretato i loro personaggi con grande maestria, senza risultare mai fuori parte o poco credibili, e hanno regalato alla critica emozioni più uniche che rare, in grado di mettere i brividi a chiunque, in particolare nelle scene finali, dove il ritmo torna a essere più incalzante.

Molti sono i temi trattati nella pellicola, a partire dal dolore per la perdita di un figlio provato da lei per poi arrivare al senso di colpa che diventa sempre più ingombrante nella vita di lui. Ma non solo, perché se da una parte è vero che l’amore di una madre per un figlio, anche se non biologico, è incondizionato, dall’altra la domanda che più volte emerge nel cuore dello spettatore (ma anche delle due donne in contrasto) è cosa sia giusto fare per la piccola.
Infine, come è facile immaginare, consigliamo il lungometraggio a un pubblico adulto e lo facciamo perché - nonostante la narrazione sia fortemente drammatica e molto lenta - il regista porta sul grande schermo una storia in grado di entrare (e rimanere), prima che nel cuore, nell’animo di chi lo guarda.


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