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Intrigo a Berlino
Che Steven Soderbergh non sia sempre e comunque il regista dei blockbuster ma che si riservi una buona dose di sperimentazione lo avevamo già imparato con "Bubble" e con il suo esperimento effettuato in una zona di confine tra cinema ed evento mediatico. Con "The Good German" il regista di "Ocean 11 e 12" porta a compimento un progetto a cavallo tra filologia ed esoterismo, fa cioè rivivere adesso, nel 2000, i fasti del cinema hollywoodiano degli anni '40. Questa sorta di "necromanzia" cinefila non viene attuata solo con un intreccio tipico e con uno studio mirato delle inquadrature e con la ricerca di determinati effetti in fase di post-produzione ma con un vero e proprio recupero dei metodi produttivi di allora e con la fedele ricostruzione dell'estetica dell'epoca in ogni aspetto creativo, dal manifesto fino alla recitazione.
Il film si apre appena due mesi dopo la fine della guerra, nel luglio del 1945, alla vigilia del vertice di Potsdam fra Truman, Churchill e Stalin, i tre vincitori del conflitto. La città che fa da sfondo a questa torbida storia di spionaggio, attrazioni fatali ed omicidio è dunque proprio Berlino nella fase in cui è divisa in quattro zone di influenza, rispettivamente statunitense, francese, inglese e sovietica, preludio alla divisione in due della città e della Germania, sospesa fino all'89 tra occidente e universo comunista.
"The Good German" si muove su un duplice binario, da una parte abbiamo la spy story (com'è successo che molti scienziati ex-nazisti siano passati alla ricerca negli Stati Uniti?) e dall'altra la torbida storia di passioni che vede assoluta protagonista Lena, una Cate Blanchett dall'insolita capigliatura nera nell'inedito ruolo di Dark Lady. Lo stile, anche se prende a piene mani dai cliché del cinema di guerra e spionaggio hollywoodiano risente anche dell'influenza del cinema europeo del primo dopoguerra, in particolare del "Trummerfilm", il cinema di macerie. I personaggi si muovono infatti sullo sfondo di una Berlino allo stremo ed il suo disfacimento, la sua rovina sono continuamente in primo piano, una vera e propria metafora dell'immediato dopoguerra. Il fumo delle macerie si è posato ma la ricostruzione vera e propria non è iniziata. In attesa che i potenti della terra decidano.
Nonostante tanta perizia da parte di Soderbergh, "The Good German" non è un film che riesce a coinvolgere, i personaggi hanno personalità talmente complesse da essere contraddittorie e disorientanti, mentre negli anni '40 erano piuttosto "tagliati con l'accetta", divisi tra buoni e cattivi. La vicenda vera e propria è in realtà piuttosto scarna e non tutto viene spiegato fino in fondo, dando qualche difficoltà allo spettatore che si trovi a dover tirare le somme dell'accaduto.
Il riferimento finale a Casablanca poi, con una Blanchett in fedora e abito nero, è fin troppo evidente e smaccato per essere considerato un omaggio. E anche se non scivola involontariamente nell'alleniano "Provaci ancora Sam", lascia perplessi e non del tutto soddisfatti.
La frase: "Bei tempi quando sapevi chi erano i cattivi: quelli che ti sparavano!"
Mauro Corso
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